La Boston ruvida, proletaria, spesso sfregiata dalla corruzione, graffiata da lotte tra immigranti e insanguinata dal crimine è stato il set favorito di Ben Affleck fin dal suo esordio dietro alla macchina da presa, la sceneggiatura di William HuntingGenio ribelle. Con La legge della notte, l’attore di Batman torna alla città in cui è cresciuto e a un autore che ne ha tracciato alcuni dei ritratti più vividi, Dennis Lehane.

 

 

Come Scorsese (Shutter Island), Clint Eastwood (Mystic River) e dopo aver lui stesso già attinto a un suo romanzo, Gone Baby Gone, Affleck sceglie infatti un libro di Lehane per il suo ultimo film da regista. Lussuosamente fotografato dall’abituale direttore della fotografia di Oliver Stone e Tarantino, Bob Richardson, La legge della notte è il film visivamente più studiato, più ambizioso e il più costoso che Affleck abbia mai diretto. È anche il più inerte – un affresco sui lati oscuri dell’American dream, riflesso nelle guerre tra gangster dei roaring twenties, che però manca di muscolo, definizione, e la cui grandeur si perde poco a poco, come in una manciata di coriandoli.

 

 

Sulle orme di James Cagney e Edgar J. Robinson, Affleck è Joe Coughlin un ambizioso ragazzo dei quartieri irlandesi di Boston che, rientrato dal fronte della prima guerra mondiale, imbocca la carriera del crimine a scapito del papà capitano della polizia (Brendan Gleason). Tra i suoi primi passi falsi, quello di innamorarsi -ricambiato – dell’amante (Sienna Miller) di un potente boss locale, Albert White che, scoperta la tresca, lo fa pestare a sangue lasciandolo per morto.

 

 

Per vendicarsi di White, Joe si mette al servizio dei suoi rivali, la mafia italiana, e del loro capo, Maso Pescatore che, annusato il potenziale di Joe, lo spedisce a combattere White sul fronte delle guerre del rum, giù in Florida. Dai grigi freddi del Massachusetts ai verdi dorati dei tropici, riscaldato dalle brezze cubane e dall’abbraccio di Zoe Saldana, Joe si rivela un businessman astuto, spietato e antirazzista, che annette il territorio di altre famiglie a forza di cadaveri e mazzette alle forze dell’ordine.

 

 

Ma prima ancora della grande sparatoria di rito (echi dello Scarface di De Palma e di Dillinger), la debolezza della sua impresa -e, ci dice Lehane, di quell’American dream così  semplice e impunito- è illuminata in uno dei passaggi più belli del film: l’incontro con una teen ager (Elle Fanning) che, partita per cercare fortuna a Hollywood, tornata sfigurata dalla droga è diventa una sacerdotessa newborn christian che predica il credo della temperanza. Bibbia, pistole, il miraggio di un’innocenza del capitalismo che non c’e’ mai stata, due love story: gli ingredienti ci sono tutti. Il film meno. Peccato. Ma non è privo di fascino.