«Le novantuno tracce di questo box sono dedicate a chi nel mondo lotta per la libertà, a chi vuole eliminare odio, razzismo, sessismo, avidità e bugie dalla propria vita. La musica non ha mai fallito, è il mondo attorno ad essa ad averlo fatto. Ogni volta che canti diventi un tramite che la luce può attraversare». William Parker, compositore, improvvisatore, contrabbassista, scrittore dal Bronx, nel 2022 festeggerà i settant’anni: ora ha deciso di mettere l’ennesimo punto fermo ad una carriera che sfuma nel mito con la pubblicazione di un monumentale cofanetto composto da ben dieci cd, vero e proprio vaso di Pandora traboccante materiale inedito, registrato tra il 2018 ed il 2020.

DOPO AVER COLLABORATO negli anni, tra i tanti, con maestri del jazz del calibro di Cecil Taylor, Don Cherry, Milford Graves ed aver messo le mani ed il cuore in oltre centocinquanta dischi, da anni oramai Parker è storia imprescindibile ed urgente, faro e monumento vivo dell’avant jazz. Questo scrigno delle meraviglie ce lo mostra più nelle vesti di autore e poeta che di (poli)strumentista: «Qualcuno di nome America mi ha raccontato che la libertà bussava alla mia porta. Non ho mai sentito bussare. Forse ero troppo occupato a guardare la televisione».

UN FILO DI UN ROSSO profondo ed indistruttibile lega in questo opus magnum l’Africa, Duke Ellington, Count Basie, James Brown, Ella Fitzgerald, la grande diaspora nera, il popolo del blues, Charles Mingus, la necessità del canto e la ricerca inesausta della meraviglia nitida del suono in febbrile movimento; composizione e creazione istantanea sono atti di resistenza al cinismo, al solipsismo, alla disillusione. Israele, Palestina, i bambini messicani sequestrati da Trump, il trombonista Graham Moncur III che scende dal treno per dirigersi alla stazione spaziale e soffiare ancora altri suoni, memorie di Harlem: luogo geografico e sociale, idea storica e culturale che viaggia attraverso la memoria, i riverberi della tradizione e dell’invenzione. Canzoni, fantasmi del Novecento, afrocamerismo irrequieto, satori, sincopi, voci, legni, fiati, corde, ance, tasti, groove: tutto si tiene in questo enciclopedico affresco dell’arte afroamericana in questi tempi cupi e infetti; come da titolo, sono capitoli della migrazione del silenzio dentro e fuori il mondo del tono, metafore e odi limpide e necessarie ad un mondo indomito e pulsante. «Improvvisazione è un’altra parola per dire amore».