Tre miliardi di volte. È quanto batte il cuore di una persona che arriva a compiere ottant’anni. E 412 milioni di volte, pur se sembra un numero da capogiro, significa invece che la stessa persona se ne va da questa terra a soli 12 anni. È quel che succede all’amica di Suzy, portata via dalle onde del mare, nel Maryland. Suzy si chiude nel silenzio perché non sa reagire alla Cosa Peggiore, come la chiama. E la storia di quel legame spezzato la costringe a rivedere tutto: i limiti umani, il concetto di ignoto, il dolore, la solitudine, le liti, il destino fatale. E così, quando sua madre le dice «a volte le cose succedono e basta», lei ragazzina che fa di testa sua, non ci sta. Ammutolisce. Preferisce pensare (tanto agli adulti non interessa sul serio scandagliare la mente di una adolescente)

Intanto guarda le meduse, «ballerine aliene» dell’oceano che possono essere pericolosissime, come quelle Irukandji, velenose fino alla morte. Conta e riconta le probabilità di punture delle micidiali creature: Suzy si convince che la causa del decesso dell’amica, nuotatrice provetta, sia stata proprio quella, non è annegata. «Le meduse pungono ogni singolo secondo di ogni singolo minuto di ogni singolo giorno». Un pizzico ogni 46,6 persone. E così inizia la sua ossessiva ricerca, una elaborazione del lutto sui generis che coinvolge flashback di ricordi della sua vita insieme a Franny, l’amica che non c’è più, e una capillare classificazione degli esperti di quei misteriosi esseri marini.

Tutta colpa delle meduse di Ali Benjamin (Il Castoro, pp. 317, euro 13,50) è un romanzo avvincente, scritto come fosse un diario terapeutico per lenire la disperazione dettata dall’impotenza. A questo mondo si muore per una qualsiasi causa, a qualsiasi età e nessuno può intervenire. È una storia poco consolatoria, di cruda formazione, questa raccontata da Ali Benjamin in una sorta di flusso di coscienza inframmezzato da irruzioni del presente. Vi si affronta un tema terribile con tutte le domande che sorgono in Suzanne, coetanea di Franny, teenager che non riesce ad accettare quella scomparsa perché a dodici anni ci si sente sì fragili ma anche invincibili e un po’ circondati da magia. Invece, è calato il buio. Soprattutto, è il senso di colpa ad attanagliare il suo cervello che verticosamente cerca spiegazioni dell’accaduto. Per quella volta in cui le cose sono andate male, per l’invidia provata verso un’amica più popolare, per essere «una che in questo mondo è fuori posto» e per avere una sensibilità verso la natura e gli animali che gli altri considerano ridicola, da sbeffeggiare in classe.

L’autrice del romanzo si descrive come una che da bambina passava ore a cacciare insetti e rane e la sua protagonista ha molti tratti in comune con quel suo passato d’infanzia. Le passioni scientifiche sono dure da far digerire ai propri compagni: quel che prova Suzy dev’essere simile a ciò che sperimentano tutti i giorni a scuola gli alunni e le alunne che hanno una marcia in più.