Alla sua terza edizione (o quarta se si guarda pure al «numero zero» del 2011), il festival della paesologia di Aliano «La luna e i calanchi»  non solo regge ma si allarga, nel tempo e nello spazio. Sei giorni filati (dal 22 al 27 agosto), giorno e notte senza soste,  di passeggiate comunitarie, poesie al chiaro di luna, improvvisazioni letterarie, attraversamenti in bici dell’Italia dell’osso, dall’Irpinia d’Oriente ai calanchi lucani, parlamenti comunitari dove l’importante è parlarsi piuttosto che decidere. Insomma il maggiore evento poetico-politico del Mezzogiorno d’Italia (con tutto il rispetto per le notti della taranta e le decine di festival pur interessanti che intasano la stagione turistica a sud di Napoli), nella suggestiva «Gagliano» di Carlo Levi, in piena terra del rimorso e del confino fascista.
«Nel paese descritto da Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli si radunano lietezze operose e inoperose, affanni, tremori, tentativi di seminare qualcosa nella miseria spirituale dilagante. Aliano è lontana, non arrivano masse distratte, ma casi singoli, anime spaiate, gente che non appartiene al consorzio dei furbi e degli ingordi. Aliano è un’isola, un altrove dentro l’Italia, un luogo in cui anche la desolazione diventa beatitudine: è l’eros dell’orlo, l’oreficeria del vuoto. Il paesaggio inoperoso dei calanchi, una volta considerato emblema del disagio, oggi diventa lirico, solenne. Ciò che stava dietro si fa avanti. Il margine diventa fecondo. La festa della paesologia contiene l’idea che nei luoghi dell’Italia interna può nascere qualche germoglio di una nuova civiltà che ci piace chiamare umanesimo delle montagne», scrive Franco Arminio, che del festival è ideatore e deus ex machina, instancabile animatore e spina dorsale.
Lasciamo che sia lui a spiegare di cosa si tratti: «Non è un festival del cinema, della letteratura, della musica, ma una comunità provvisoria che intreccia gli abitanti del paese, le persone invitate e i visitatori. Per sei giorni e sei notti si legge, si canta, si suona, si discute in un cantiere che è una serena obiezione all’autismo corale. Il futuro è in chi crede alla terra e alla sua sacralità, non in chi pensa solo a saccheggiarla. Il futuro è in chi non guarda il Sud con la vecchia lente sviluppista, è in chi lavora con scrupolo e utopia, in chi tiene assieme il computer e il pero selvatico». Insomma, spiega Arminio «la festa della paesologia non propone un divertimento estivo, ma una nuova militanza, poetica e politica. Chi viene ad Aliano sceglie una visione, partecipa a una lotta. La luna e i calanchi fa parte di un movimento più ampio sulle aree interne».
Chi è stato da queste parti almeno una volta capisce cosa voglia dire ascoltare un reading poetico alle tre del mattino o vedere giovani globalizzati e   anziani del paese ascoltare un monologo teatrale in una piazzetta altrimenti deserta di un paese suggestivo ma, come centinaia di altri nel Mezzogiorno d’Italia, abbandonato da vecchie e nuove emigrazioni. Chissà cosa ne avrebbe pensato Carlo Levi che qui è sepolto, e pure Rocco Scotellaro, nel riascoltare i suoi versi tra i figli e nipoti di quella civiltà contadina sconfitta dalla modernità, nel vedere che è ancora possibile riempire le piazze con la poesia.
(Il programma è su www.lalunaeicalanchi.it)