Ebbene sì, la pacchia è finita, anche per i tifosi. Dopo avere sognato tutta l’estate l’arrivo di un grande campione, magari a buon prezzo come una flat tax, o un giovane sconosciuto capace di esplodere come un reddito di cittadinanza, gli appassionati di calcio devono fare i conti con la realtà: comincia un campionato che rischia di finire già in autunno causa manovra finanziaria, nel senso della capacità patrimoniale dei club. La Juventus (prima a scendere in campo, sabato alle 18 a Parma) è pronta a vincere il nono scudetto consecutivo: troppa la differenza di campo e di fatturato (sui 400 milioni) tra i bianconeri e le inseguitrici (la metà o meno). Per questo sia il mercato che l’arrivo di Sarri vanno considerati in ottica Champions. A casa è tutto troppo facile.

LA SPEREQUAZIONE, a cominciare dalla sbagliatissima distribuzione dei diritti televisivi che vige in Italia, è esagerata. Non sembrano in grado di impensierirla né il Napoli cui manca sempre un senatore per fare il ribaltone, a meno di improvvisi stravolgimenti dell’ultima ora (vedi Icardi) né l’Inter, che ha puntato tutto sull’effetto Conte (ah, le analogie…) e su uno strano mix di acquisti tra chi ha fatto bene in provincia e chi ha fatto male nei grandi club. E non saranno le ultime settimane di mercato a cambiare il volto del campionato. Più interessante notare come la crisi si rifletta anche nel pallone con la Serie A (1,1 miliardo) che spende meno di Liga (1,3) e Premier (1,6) ma al solito muove molti più giocatori (900 acquisti e 600 cessioni) rispetto agli altri due grandi campionati (siamo sui 300 dentro e 300 fuori). Basterebbe ricordare il Parma, che ogni anno comprava 100 giocatori, era presentato da tutti come “società modello” e poi è fallito, per farsi due domande.

ALTRA BOLLA di maquillage finanziario destinata a esplodere, oltre alla compravendita forsennata di giocatori che non metteranno mai piede in campo, è quella delle plusvalenze, trucco contabile che impone, per sistemare i conti, di vendere soprattutto i giocatori cresciuti nel vivaio e quindi inseriti a bilancio a costo zero: vedi gli addii di Kean, Cutrone, Pinamonti. Ma mentre giornali e tv sono inondati dalle foto di Wanda Nara, come dalle cubiste del Papeete, nessuno ha voglia di ammettere che la crisi è di sistema, che non ci siamo qualificati agli ultimi Mondiali e la nazionale è sedicesima nel ranking Fifa. E affrontare il problema. Il ridimensionamento è evidente anche alla Roma, dove il colpo è la conferma del centravanti, e al Milan, dove per darsi un tono hanno trasformato un onesto mestierante delle panchine in un maestro di calcio.

MOLTO MEGLIO l’Atalanta, che però ha l’incognita di una Champions cui non è abituata, e più in basso le possibili sorprese di Fiorentina (gran colpo Ribery!), Genoa, Bologna e Cagliari, per il buon mix tra allenatore e giocatori a disposizione. Restano comode invece Lazio, Toro e Samp, la maggioranza silenziosa che vota sempre bene al momento giusto. In attesa di dimenticare i sogni estivi e tornare a divertirsi o impazzire – in questo aiuta il calendario che già alla seconda mette Juve-Napoli e Lazio-Roma, e alla quarta Milan-Inter – è di pochi giorni fa la notizia più bella. Il ritorno a Brescia di Mario Balotelli, il calciatore che più di ogni altro è capace di sbatterci in faccia i nostri orrori. Nel paese dei Minniti e dei Salvini, dove si lasciano i migranti per mesi nei lager libici e per settimane in mezzo al mare, torna un ragazzo cui è stata data la cittadinanza solo a 18 anni, che gioca a pallone meglio degli altri, non le manda a dire (“prima di Mancini non dipendeva da me non essere convocato in Nazionale”) ma non ha nemmeno nessuna intenzione di farsi esempio e portavoce per i “buoni”, come vorrebbe un certo colonialismo paternalista. Non sarà mai come lo volete voi. Per questo è la nostra unica speranza di uscire dalla crisi, anche in chiave azzurra. Grazie Mario!