E tu che sei partita Iva oggi scioperi? Per chi è un lavoratore autonomo, vive nella zona grigia tra la micro-impresa e le cooperative, o alterna periodi di lavoro ad altri di non lavoro, la domanda non si pone. Nel lavoro autonomo, e nella precarietà, questo è un diritto sconosciuto. Si aderisce per motivi ideali, forse, ma per chi lo fa questo significa lavorare il doppio domani. I motivi per protestare tuttavia ci sono. La campagna «non siamo i bancomat del governo», promossa da Acta, Alta partecipazione e Confassociazioni contro l’aumento al 29,72% delle aliquote previdenziali della gestione separata dell’Inps (arriverà al 33,72% nel 2019) ha spopolato in rete. Ha unito una fascia rappresentativa di cowokers da Milano a Palermo, mentre un «tweetstorm» ha fatto balzare l’hashtag #siamorotti al primo posto nel twitter politico italiano.

Il governo Renzi, quello 2.0 attento a start up e nuove tecnologie, ha preparato un trappolone per freelance e lavoratori della conoscenza: in cottura nella legge di stabilità non c’è solo l’aumento dell’Inps, eredità della pessima riforma Fornero, ma anche quella dei regimi dei minimi che triplicherà le tasse per le partite Iva under 35. Per Salvo Barrano, presidente dell’associazione nazionale archeologi (Ana), una delle realtà più evolute nel panorama del quinto stato, «tutti hanno il dovere di aderire allo sciopero, anche se non possono farlo nella maniera tradizionale di un lavoratore subordinato. Significa dare un segnale dalla parte delle persone, più che da quella dei lavoratori, visto che i sindacati intendono solo quelli dipendenti. In più la Cgil ha finalmente recepito alcune nostre istanze, i congedi parentali e indennità di malattia anche per gli autonomi, oltre al blocco dell’Inps che anche quest’anno rischia di cadere come un macigno sotto l’albero di natale».

«Sciopero per gli autonomi resta una parola buffa – sostiene Barbara Imbergamo, ricercatrice freelance a Firenze e socia di Acta – È la cosa più difficile di tutte da organizzare tra noi. Le persone sono disabituate a pensare che difendere i propri diritti sia una cosa “cool”. Sciopero per le partite Iva è da sfigati e non si fa. Se vedo però che nel Jobs Act non c’è nulla per noi e, anzi, si pensa di peggiorare l’esistenza penso che bisogna lanciare il cuore oltre l’ostacolo e trovare nuove forme di mobilitazione oltre le nostre condizioni professionali specifiche». Tra autonomi e Corso Italia i rapporti non sono stati sempre dei migliori. «Serve un cambiamento culturale profondo – aggiunge Imbergamo – Loro ci vorrebbero tutti lavoratori dipendenti. Io ho dieci committenti in un anno come farei a farmi assumere da tutti?» Tuttavia qualcosa sta cambiando nel sindacato: «La Cgil ha espresso posizioni più chiare del solito. Ha anche accettato l’estensione del Welfare nella campagna “X tutti”». Quanto al problema dei problemi – come fa a scioperare chi non può scioperare – la freelance fiorentina sostiene: «Personalmente mi interessano le modalità dello sciopero sociale del 14 novembre. L’obiettivo dovrebbe essere il reddito minimo per tutti e un welfare inclusivo sulla base del reddito e non del contratto».

Al centro di questo lavoro, che spinge alcuni a parlare di un «modello toscano», c’è la Consulta nazionale delle professioni Cgil che da anni cerca di favorire i rapporti con mondi un tempo sconosciuti per il sindacato del lavoro dipendente e dei pensionati. A Firenze ha creato un dialogo con le associazioni delle partite Iva. Uno dei partecipanti è Leonardo Croatto, funzionario Flc-Cgil. Di sé racconta il lungo periodo in cui ha lavorato da freelance: «Ho attraversato le trasformazioni del lavoro, soprattutto cognitivo, oggi la metà di miei amici sono autonomi – afferma – Negli ultimi mesi sto osservando una trasformazione nella Cgil su questi temi. Il sindacato sbaglia quando si butta su un tema senza i dovuti passaggi con i lavoratori. Quando invece c’è la partecipazione si può arrivare ad una rivendicazione comune al di là delle forme contrattuali».

Come si costruisce una solidarietà tra chi non ha il sindacato e chi ce l’ha? «Una Rsu non può essere solo di quella che l’hanno eletta, ma dev’essere il punto di riferimento per chiunque sta dentro un’azienda in qualsiasi modo e con qualsiasi forma contrattuale – risponde Croatto – Vale per gli appalti, per gli interinali, non solo per i precari in senso stretto. Se si vuole costruire un fronte ampio, i deboli devono essere tutelati con maggiore forza rispetto agli altri. Altrimenti si gioca ai dieci piccoli indiani».