Brutte notizie. Nancy Bass Wyden, proprietaria di una delle più note librerie newyorkesi, Strand, celebrata in decine di serie tv e di film, tra cui l’ultimo di Sofia Coppola, On the Rocks, ha lanciato via Twitter un allarme: siamo a rischio chiusura, il giro d’affari è calato del 70% a causa della pandemia e i fondi si stanno esaurendo. Secondo Sam Adams, che alla vicenda dedica un articolo su Slate, è possibile che molti tra i clienti ricchi e famosi della libreria risponderanno generosamente all’appello, garantendo a Strand la sopravvivenza. Ma, nota Adams, la questione è più complessa di quanto appaia: non solo la danarosa signora Bass Wyden ha ricevuto in primavera un grosso prestito governativo, ma ha investito le sue risorse personali nelle azioni di Amazon, non proprio un alleato delle librerie fisiche. Senza contare che l’eventuale successo della campagna di Strand non compensa le difficoltà di «tutte le librerie che hanno una sigla meno rinomata o cui manca la forza di cercare aiuto fuori dal proprio quartiere – o semplicemente che si trovano in quartieri dove la gente è così impegnata a restare a galla da non poter pensare di sostenere qualcun altro». Osservazioni vere, purtroppo, che valgono anche da questa parte dell’Atlantico.

Per fortuna ci sono pure notizie buone, come l’ottima riuscita delle biblioteche situate negli ospedali spagnoli o comunque indirizzate a malati o convalescenti. Ne scrive sul País Rut de las Heras Bretín, citando la dottoressa María Sáinz Martín, specialista in medicina preventiva e coordinatrice della rete delle biblioteche per i pazienti: «Alle persone ricoverate o appena dimesse si dice spesso ‘Muoviti, fai esercizio’. Ma questo non basta, bisogna muovere pure i neuroni, e la lettura è un modo per attivarli». I problemi ci sono, dato che la maggior parte di queste biblioteche si fondano sul volontariato, ma il bilancio è nel complesso positivo (un aggettivo che qui mantiene la sua connotazione, appunto positiva, oggi assai appannata): in diversi casi l’esperienza è ventennale e grazie alle donazioni i libri in prestito sono migliaia.

E per chi cerca altre storie a lieto fine (ci vogliono, in questi tempi incerti), eccone una che arriva dall’Australia: su Psyche Jill Lawson, psicologa oggi in pensione, racconta del suo gruppo di lettura che, fondato più di cinquant’anni fa, è ancora attivo: «Nel 1964 una giovane madre di nome Charm ebbe un’idea. E se avesse trovato uno spazio e un’ora per incontrarsi con altre donne senza parlare di bambini? Non mi fraintendete, per lei era importante parlare di bambini – ma non tutto il tempo. È nato così il book club di Perth a cui appartengo da un quarto di secolo e del quale a 84 anni sono una delle partecipanti più giovani. Composto da sei persone, il gruppo originale stilò allora regole incredibilmente particolareggiate che nella sostanza sono rimaste le stesse».

Ancora oggi, quindi, le ormai attempate lettrici australiane si incontrano una volta al mese a casa di una di loro a turno e discutono del libro prescelto sulla base di una traccia di domande elaborate da chi ha indicato quel titolo. Certo, rispetto ai tempi antichi la conversazione ora si tiene di mattina e non prende più avvio con un bicchiere di vino o di sherry, né si chiude con un vassoio di tramezzini (menu fissato a suo tempo per evitare che le partecipanti si scatenassero in gare culinarie). Ma sono dettagli. Quello che conta è il piacere di leggere e poi di condividere riflessioni sulla lettura, quel piacere grazie al quale «il Vintage Booke Club continua ad aderire ai suoi obiettivi iniziali con una combinazione ammirevole di tradizione, flessibilità e impegno».