In Fare fuoco (Sem, pp. 250, euro 16), Daniele Garbuglia toglie volontariamente all’epica brigatista tutto l’armamentario ideologico, la retorica del linguaggio dottrinario dello scontro frontale, lasciando, con un’asciuttezza di scene e capitoli brevi e serrati, il nudo spazio esistenziale dei personaggi e i loro movimenti tra una provincia di formazione e la metropoli dove colpire al cuore. Quasi come se le azioni atemporali avessero perso il loro contesto, e tutta la mitologia anche dei luoghi simbolo, mai interamente nominati o connotati, che ormai sono un pezzo lacerato della nostra storia.

È UN’OPERAZIONE letteraria, soprattutto di sguardo e di punti di vista, coraggiosa nel trattare una materia ancora incandescente, nel passare dalla prima al tu della seconda persona, e nel fare economia di mezzi nei dialoghi dando maggiormente spazio alle descrizioni degli interni cupi e al pericolo degli spazi aperti.

Questo per creare un clima di isolamento e concentrare l’attenzione solo sulle singole azioni dei personaggi, un po’ come avviene nel film La prima linea di Renato De Maria, tratto dal libro Miccia corta di Sergio Segio, e rivelare il mondo chiuso, soprattutto mentale, di chi ha fatto la scelta della lotta armata, e vive da clandestino fuori dal mondo e dalle sue relazioni.

Quindi più che l’interesse storico, il motivo politico di imbracciare le armi, che ha riguardato in Italia migliaia di militanti politici – una pagina di storia nazionale ancora tutta da raccontare, narrata solo dai vincitori e anche un tabù – Garbuglia racconta senza mai spiegare, s’affida ai fatti, alle cose, e si concentra sulla vita quotidiana del gruppo di fuoco, composto da un giovane della provincia italiana, marchigiana, nome di battaglia Orlando come il nonno contadino, e dai suoi compagni Rosso e Anita, tratteggiati a volte con ingenuità, in tutta la sua oggettività e banalità del male, come se l’unico imperativo vitale fosse la «pura azione».

SPOGLIATI DI OGNI EROISMO, o comunque enfasi e partecipazione emotiva, soprattutto nei dispositivi azzerati della fiction, raccontati nell’oggettività attraverso una lingua prestabilitamente ridotta all’essenziale della sua funzionalità, i personaggi incolori di Garbuglia, umani e troppo umani, fanno il bucato, preparano la moka, mentre al ciclostile riproducono i comunicati di rivendicazione degli attentati, tra cui quello che apre il romanzo a un giornalista della stampa borghese, e con lucida disciplina studiano cartine per organizzare nuovi agguati. Le loro sono solo relazioni funzionali, non entrano mai in empatia, condividono da estranei, stanze e servizi, come armi e automobili per le azioni di fuoco.

DAI POCHI RIFERIMENTI storici appena accennati nel libro, come la condanna a morte di Roberto Peci, l’omicidio di Guido Rossa («come potevano i paladini della rivoluzione operaia colpire proprio un operaio»?), il punto più basso della storia brigatista, siamo all’inizio degli anni ’80 e in quelli del declino e degli arresti dei capi storici come Mario Moretti.

Dopo una telefonata fatta alla madre da una cabina telefonica, Orlando ha i primi cedimenti, è come se improvvisamente prendesse coscienza di aver sparato a un uomo invece che a un obiettivo, adesso «le cose erano le cose, non contavano più le idee», pensa smarrito. L’ultima azione non va come dovrebbe, finisce male, allora entra in un vortice di paura, «possibile che le sue idee lo avessero portato dove non sarebbe mai voluto arrivare?». Ma è troppo tardi, non può tornare indietro, come Dario, il suo compagno arrestato che alla fine si arrende alle torture, e da vittima finisce per essere considerato un traditore.

La seconda parte del libro accelera, il ritmo è quello di un romanzo di azione che culmina in un finale doloroso, come è avvenuto molte volte in quelle guerre lontane. Garbuglia in questo romanzo dal conio inconfondibile usa lo stile severo e algido di una condotta rigorosa, per compiere un’operazione di disvelamento, gli serve per mettere a nudo implacabilmente le giovani vite disperate dei suoi personaggi, drammaticamente sospese tra la ribellione rivoluzionaria per un mondo nuovo e liberato, e la cieca scorciatoia delle armi.