«Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l’emozione che spesso comincia già nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari; e il fatto (…) che un racconto può essere scritto e letto in una sola seduta (proprio come una poesia!)». È facile pensare alle parole che Raymond Carver aveva affidato ai racconti selezionati poco prima della sua scomparsa, e raccolti in Da dove sto chiamando (Einaudi), per parlare del Vocabolario dei desideri di Eshkol Nevo.

Nel volume, pubblicato nella collana «Spleen» di Neri Pozza (pp. 110, euro 18, traduzione di Raffaella Scardi), accompagnate dalle splendide tavole dell’artista romana Pax Paloscia sono infatti riunite le storie che hanno alimentato l’omonima rubrica firmata dallo scrittore israeliano sulle pagine di Vanity Fair. Ventisei piccoli racconti, quante sono le lettere dell’alfabeto, ciascuno non più lungo di un paio di pagine che conducono l’autore di romanzi giustamente celebrati da critica e pubblico come La simmetria dei desideri, Neuland, Soli e perduti e Tre piani sul terreno delle short stories che fu proprio, tra le altre cose, del grande scrittore americano scomparso ormai da più di trent’anni.

A DIRE IL VERO, già L’ultima intervista, uscito lo scorso anno – e di cui il manifesto ha parlato con lo stesso Nevo nell’ottobre del 2019 – più che ad un romanzo vero e proprio faceva pensare ad una serie di racconti brevi, resi però nella forma di risposte offerte dal protagonista al proprio interlocutore. In questo caso, i tempi e lo spazio sono quelli imposti dalla metrica di un magazine, anche se l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un’opera dall’inattesa coerenza, ribadita dalla lingua piana e colloquiale adottata dallo scrittore come dall’emergere di storia in storia del suo inconfondibile universo narrativo. Che in questo caso sembra chiamare in causa non solo l’eredità letteraria di Amos Oz, ma anche, a tratti, il gusto per l’ironia amara che è proprio di Etgar Keret, che di Nevo è invece coetaneo.

Nei racconti del Vocabolario dei sentimenti si intreccia così il senso di perdita e fragilità che attraversa buona parte delle opere dell’autore israeliano, con una sorta di divertita celebrazione dell’incertezza, o forse sarebbe meglio dire dell’inadeguatezza degli esseri umani di fronte ai «fatti del cuore» come all’irrompere delle passioni. Dal «sesso» alle «confessioni», passando per il «perdono» e i «tabù», i protagonisti si muovono lungo i labili confini dell’esistenza dove certezze consolidate sembrano pronte a dissolversi di fonte, più che all’imprevisto, al non-conosciuto, abbia o meno il volto di un uomo o una donna incontrati improvvisamente all’angolo di una strada, in una stanza d’ospedale o grazie alle pagine di un libro.

ALLO STESSO TEMPO, e anche in questo caso in modo analogo a quanto accade ad esempio in La simmetria dei desideri o in Tre piani – romanzo, quest’ultimo, da cui Nanni Moretti ha tratto un film che uscirà all’inizio del prossimo anno -, le vicende individuali, le «piccole storie» dei protagonisti finiscono per evocare il largo scenario dei conflitti del Medioriente, la guerra, il terrorismo, le ingiustizie perpetrate, le vendette subite, il bisogno di pace come la drammatica assuefazione alla violenza.

Un intreccio spesso appeso ad una frase, ad un ricordo, ad un lampo inatteso di memoria che costituisce a un tempo l’interrogativo e la dote che la letteratura israeliana consegna ai lettori di tutto il mondo. E da cui emerge l’annuncio di un possibile futuro diverso, ben più di quanto la realtà di ogni giorno del Paese lasci immaginare. Come quando Nevo scrive della figlia che si è ferita accidentalmente al supermercato mentre fa la spesa insieme a lui e che viene soccorsa con grande premura da due dipendenti arabe. La bambina ringrazia e commenta con il padre l’estrema gentilezza delle due donne. «Alla fine dei conti sono i piccoli momenti a essere decisivi», conclude lo scrittore. Aggiungendo però uno «spero» nel quale è racchiusa tutta la sfida insita nel futuro.