Cinquant’anni fa, il primo marzo 1973, usciva in Inghilterra The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, il disco «concept» più complesso (e artigianale!) della storia che ha marcato un prima e un dopo nelle vicende del rock, e non solo. Ecco l’«Alfabeto della Luna».

A – Abbey Road Studios
Gli studi dove i Pink Floyd vanno a incidere The Dark Side of the Moon sono già una leggenda nei primi anni Settanta costruita con solidi pezzi di realtà. A partire dalla scelta dei Beatles per i loro dischi più complessi. Agli Abbey Road Studios c’era una consolle a sedici piste, all’epoca un punto di forza necessario per le ambizioni floydiane di ricostruzione di un intero «soundscape». C’era Alan Parsons, tecnico-musicista dall’orecchio straordinario. In più, c’era una «biblioteca sonora» di effetti di notevole consistenza. I Pink Floyd ci lavoreranno per circa quaranta giorni, distribuiti tra giugno ’72 e febbraio ’73: pause frequenti, soprattutto perché Roger Waters, tifoso sfegatato dell’Arsenal, antepone a tutto l’andare a veder giocare la sua squadra del cuore. E un altro motivo di interruzione, per il gruppo al completo, sono le trasmissioni dei comici Monty Python: tutti si mettono davanti al teleschermo.

B – Brain Damage/Barrett, Syd
Con tutta evidenza, il primo compositore e chitarrista dei Floyd è già un fantasma che aleggia sulla sessione. In termini freudiani, sarebbe il «ritorno del rimosso», l’inizio del senso di colpa abissale. Il fantasma appare: a cominciare dallo spazio vasto lasciato nel disco al disagio mentale, alla sofferenza di chi diventa, beatlesianamente, «the fool on the hill». Nei testi, nella musica: la feroce risata fool in loop iniziale di Peter Watts, la sconcertante frase di Brain Damage su un possibile intervento cerebrale con chiaro riferimento alla lobotomia: «You raise the blade, you make the change, you re-arrange me ’till I’m sane». Pare che Waters abbia iniziato a scrivere questo brano già ai tempi di Meddle, e che la parte musicale sia germinata all’ascolto degli arpeggi di Dear Prudence dei Beatles. Waters conosceva bene l’opera di R.D. Laing, padre dell’antipsichiatria che per un soffio non si prese cura di Syd Barrett. Nel testo La politica dell’esperienza, un capitolo si intitola…Us and Them. Come il brano di The Dark Side of The Moon.

C – Concerti
Non si intendono qui le innumerevoli volte che la band (o il solo Roger Waters) hanno proposto tutto o buona parte di The Dark Side of the Moon. Si parla del prima. Perché l’embrione dell’album cominciò ad essere «testato» dal vivo il 20 gennaio 1972, a Brighton in Inghilterra. Nove tonnellate di attrezzature, mixer a ventotto tracce, tre tir e, per la prima volta, un impianto luci d’avanguardia di potenza mai vista prima, nel rock, opera di Arthur Max. Prove tecniche in gran segreto a Bermondsey, sud di Londra, nei fondi di un lugubre edificio (di proprietà dei Rolling Stones!). Poi decine e decine di concerti prova, i primi e più importanti al Rainbow londinese. The Dark Side of The Moon è la storia di un lungo rodaggio e di una messa a fuoco maniacale e continua.

D – Dick Parry
Per la prima volta, i Pink Floyd accolgono nelle loro registrazioni in due brani un sassofonista. È un vecchio amico di David Gilmour, suonavano assieme da ragazzi nei Jokers Wild. Parry è essenziale nel dare colorature r’n’b a Money dove, raccontano le cronache, cercò di seguire le indicazioni fornite da Gilmour sul tipo di suono e fraseggio da utilizzare: il modello era il baritonista Gerry Mulligan nel disco Gandharva di Beaver & Krause. Più smooth jazz il solo del tenorista in Us and Them, che ritroveremo anche nel disco successivo, su Shine on You Crazy Diamond, e in molte altre occasioni, solistiche e di gruppo per i Pink Floyd orfani di Waters.

E – Eclipse
Quando i Pink Floyd cominciarono a presentare dal vivo i brani del nuovo album, qualcuno si accorse che una notevole ma poco celebrata band del sottobosco creativo blues rock inglese, i Medicine Head, stava facendo uscire un disco intitolato, testualmente, Dark Side of the Moon. Risultato: la luna floydiana diventò in presentazione, ad evitare spiacevoli equivoci, Eclipse, A Piece for Assorted Lunatics (Eclissi, un brano per vari tipologie di pazzoidi).

F – Filosofia
Secondo Roger Waters, autore dei testi, la metafora del «lato oscuro» definisce gli aspetti che sfuggono a un controllo razionale nelle azioni delle persone: il rapporto con il denaro, col tempo, con la violenza incontrollabile, con le pressioni inevitabili nella vita lavorativa quotidiana. Nel 2003, riprendendo il discorso, Waters ha precisato: «Se c’è un messaggio centrale, è il seguente: la vita non è una prova. Per quanto ne sappiamo ci viene data una sola opportunità, e dobbiamo fare le nostre scelte. Chiunque, nel suo piccolo, ha l’opportunità di rendere il mondo un posto più luminoso o un po’ più oscuro». Poi c’è il rapporto con l’altro da sé, con il disagio mentale, in tutta evidenza, collegato al crollo psicofisico di Barrett. È appena il caso di ricordare la ben nota e misteriosa apparizione in studio di un Syd Barrett irriconoscibile, obeso e con le sopracciglia rasate (come il protagonista di The Wall a venire) durante le session per Wish You Were Here. Dove «You» sta proprio per Syd Barrett.

G – Garbage
La «biblioteca dei rifiuti», definizione cinica di David Gilmour ma veritiera sul modo di lavorare dei Pink Floyd in studio quando provavano e riprovavano. Si trattava, in pratica, di andare a ripescare ogni spunto possibile accumulato nei mesi precedenti, e cominciare a lavorarci sopra, in un’alternanza infernale (soprattutto per chi doveva seguirli) di stasi e illuminazioni efficaci, in cui poi spuntavano fuori nuove idee. Non tutti i tecnici del suono reggevano queste sedute, pare: in cui non girava roba «pesante», ma discrete scorte d’erba e di superalcolici sì. Per The Dark Side of the Moon le cose vanno un po’ meglio del solito, e il «secchio della spazzatura» è colmo di ghiotte risorse già al momento di entrare in studio.

H – Hypgnosis
Lo studio grafico di Storm Thorgerson a cui si affidano ancora una volta i Pink Floyd. La ricerca maniacale di un’immagine iconica potentissima, mancata nelle cover di Meddle e di Obscured by Clouds, e perfettamente centrata con la mucca di Atom Heart Mother deflagra con il prisma ottico in campo nero. Scelta al volo dai Floyd alla presentazione di sei progetti grafici alternativi. Il buio e la luce, l’uno e il molti, l’io e i molti io della schizofrenia descritti in quegli anni da Laing. Il poster con le piramidi egiziane è invece frutto di una scatto avventuroso di notte, agli infrarossi.

I- Incomprensioni
Con The Dark Side of the Moon cominciano a delinearsi le incompatibiltià caratteriali tra Gilmour e Waters, e tra quest’ultimo e gli altri due assai pazienti membri della band, Nick Mason e Rick Wright. Nei fatti si arriva a una divisione dei ruoli: Waters che diventata l’autore unico dei testi, sempre più pesanti nei contenuti e lontani da divagazioni psichedeliche, ma geniali, e Gilmour concentrato sul suono e la costruzione degli assolo, una sorta di perfezione estetica, spesso insidiata da idee divergenti del bassista.

J – James, Peter
L’assistente di studio per le session di The Dark Side of the Moon di Alan Parsons, l’uomo-cuscinetto tra la voglia d’intervenire sulle registrazioni del tecnico – cosa fatta – e il quartetto incerto sul da farsi, tra momenti neghittosi ed esplosioni di creatività.

K – K.B. Hallen
Frederiksberg: l’inizio danese del «vero» tour europeo di The Dark Side of the Moon, 10 e 11 novembre del 1972, Copenaghen, dopo il rodaggio con un lunga serie di date nordamericane, e una rapida comparsa a un concerto di beneficenza all’Empire Pool di Wembley.

L – Liza Strike
Una delle coriste essenziali nella costruzione del suono di The Dark Side of the Moon. Le cronache raccontano che, come le altre ragazze trovatesi in studio per contribuire al disco, non ne ricevette neppure una copia omaggio. Liza, diventata poi corista e insegnante di canto a tempo pieno, rimarcò il fatto a Gilmour, incontrato per caso a un party. E l’assai imbarazzato chitarrista cercò di rimediare regalandole una copia di… Wish You Were Here.

M – Money
A risentirlo nella versione embrionale, il brano che scatenò all’epoca le ire dei floydiani per l’eccessiva «commercialità pop» del pezzo (i progster non amavano il funky) era tutt’altro: una sequenza sghemba in 7/4 di note, una sorta di meccanico blues suonata su una chitarra acustica. Poi arrivava una sezione in quattro quarti che «riportava tutto a casa», sfidando il tempo dispari di Waters, e che consentì a Gilmour di intervenire con un magistrale solo di chitarra, abbozzato una prima volta, ripetuto nota per nota in ogni occasione. Il suono delle monete fu registrato da Waters in una baracca nel suo giardino, lanciando spiccioli in una impastatrice, quello del registratore di cassa arriva dagli archivi di Abbey Road, in più altri effetti furono realizzati con semplici fogli di carta. Il tutto montato in «loop» tendendo fisicamente il nastro in studio su aste di microfono. Elogio dell’artigianato analogico.

N – Nick Mason
Il batterista dei Pink Floyd, da sempre, come Rick Wright, figura un po’ in ombra a fronte degli ego di Gilmour e Waters, è anche, in The Dark Side of the Moon, colui che firma l’impressionante Speak to Me che apre il disco, con battito cardiaco, voci e risate assemblate, la gran parte degli strumenti registrata al contrario, la voce svettante di Clare Torry. Una piccola ouverture, in pratica, con citazioni sparse da quanto si ascolterà nell’intero disco. «Assemblai il tutto grossolanamente a casa, e poi rimontammo il tutto in studio», ha raccontato il batterista.

O – On the Run/Oggetti
In origine On the Run era stata intitolata The Travel Section, e dal vivo era qualcosa di compleamente diverso dall’ossessivo, incombente ostinato suonato al synth che conduce alla folle esplosione – schianto finale di un aereo: semplicemente un momento di jam session tra le tastiere di Wright e la chitarra di Gilmour. La sezione ritmica è «costruita» con un VCS3 (un sintetizzatore compatto che costava 330 sterline: lo avevano in pochi, in Italia Battiato), otto note in sequenza velocizzate a 165 battute al minuto, in più sono in azione un sintetizzatore Morph, filtri e oscillatori. Poi registrazioni di rumori di passi pesanti (Peter James, assitente di studio di Alan Parsons), battiti cardiaci simulati, la voce di uno speaker aeroportuale che annucia un volo per Roma, Il Cairo e Lagos, una combinazione di rumori spettrali ottenuti con un’asta di microfono passata sulle corde della chitarra, registrati poi al contrario. Infine uno dei più misteriosi «speeches» del disco: è Roger «The Hat» Manifold che dice, «Live for today, gone tomorrow, that’s me». Poi una risata demoniaca. Brrr.

P – Parsons, Alan
Il principale responsabile del suono stratificato e innovativo di The Dark Side of the Moon è il tecnico del suono Alan Parsons. Ventitré anni all’epoca, e già una corposa esperienza negli Abbey Road Studios: aveva lavorato, appunto, ad Abbey Road dei Beatles, al primo disco di Paul McCartney, al primo dei Wings. I Pink Floyd li conosceva bene: aveva curato qualcosa per Ummagumma, il doppio disco sperimentale metà dal vivo, metà in studio e per Atom Heart Mother, suite molto amata dai fan, pochissimo dagli stessi Floyd. Quando si trova a dover pilotare suoni e regia di The Dark Side of the Moon Parsons è traquillo e rilassato: perché la struttura c’è già tutta, e tutta o quasi provata dal vivo. Ogni tanto riesce a metter mano ai nastri aggiungendo qualche tocco. La sua paga all’epoca: 35 sterline a settimana.

Q – Quadrifonia
I Pink Floyd, in contemporanea con l’acquisto del nuovo «light show» nel tour di presentazione si presentano dal vivo con un sofisticato impianto quadrifonico, con due enormi altoparlanti nei quattro principali posti direttamente in mezzo al pubblico. Impianto che non sempre funzionava a dovere e aveva bisogno di tarature precise: generando ritardi clamorosi. Alla presentazione del disco si presentò per protesta il solo Richard Wright, perché, contro il volere dei musicisti, ai numerosi giornalisti presenti venne fatta ascoltare una registrazione stereofonica, e non quadrifonica, e su un impianto stereo al limite della mediocrità: come uccidere un disco che viveva di piccole meraviglie sonore nascoste.

R – Rumori
Un catalogo dei rumori presenti in The Dark Side of the Moon dovrebbe contemplare almeno: il commutatore di Strowger ( il “brrr” dopo il suono dei registratori di cassa in Money), sveglie meccaniche, suono di monete che cadono, esplosioni, battiti cardiaci, metronomi, passi pesanti di piedi calzati in scarponi, risate, distorsioni di voci su altoparlanti, carta strappata.

S – Speeches
Un colpo di genio di Waters. Interpolare alle musiche e ai testi voci disparate, spiazzanti, inquietanti. Sono le risposte non concordate date dalle persone convocate alle domande di Waters preparate su un mazzo di cartoncini. Cose come «Quando è stata l’ultima volta che sei stato violento?», «Hai mai avuto paura di impazzire?», «Hai paura di morire?». In The Dark Side of the Moon si ascoltano tra gli altri: Gerry O’Driscoll, portinaio degli Abbey Road Studios, Peter Watts, tecnico del suono, la sua ragazza Puddie, Chris Adamson, road manager, il chitarrista dei Wings Henry McCullough. Grandi esclusi: Paul e Linda McCartney, in studio accanto ai Pink Floyd. Avevano tentato di fare gli splendidi, con le risposte, e Waters li tagliò brutalmente.

T – Time
«Un giorno mi resi conto che non esiste preparazione alla “vera vita futura”. Non esiste nulla di preparatorio alla vita, la stai già vivendo». Il concetto da filosofia stoica di Waters impregna Time, con il clamoroso effetto delle voci che si «sfrangiano» ottenuto con un Frequency Translator in uso agli Abbey Road Studios, e gli orologi e le sveglie che risuonano sincronizzati. La sequenza di accordi non canonici nel rock con settime maggiori e minori di Wright è ispirata a Bill Evans quando suonò in Kind of Blue di Miles Davis.

U – Us and Them
La rielaborazione della Violent Sequence scritta da Rick Wright per commentare la scena del pestaggio degli studenti da parte della polizia per il film Zabriskie Point. L’idea di usare una sequenza di note placide per un passaggio duro e concitato piacque a Antonioni, che come suo solito poi rifiutò il tutto. Nel testo finale cantato su Us and Them comincia a prendere forma anche l’ossessione del ricordo di Waters per la fine del padre artigliere, ucciso nel 1944 ad Anzio: tema che tornerà, amplificato e sempre più ossessivo soprattutto in lavori come The Final Cut, e nel suo solo Amused to Death, 1992, vero «disco mancato» per la coppia Gilmour-Waters ormai da tempo in rotta di collisione.

V – Voci
Molte le voci femminili in The Dark Side of the Moon: Liza Strike, Doris Try, Barry St. John, Lesley Duncan. A Clare Torry, ventiduenne, trenta sterline di compenso, toccò la parte più difficile, nell’improvvisare il 21 gennaio 1973 una sequenza di sillabe tra il dolente, l’esaltato e l’orgasmico (scelta di Gilmour: con grande imbarazzo successivo in studio) su The Great Gig in the Sky, che in origine era nato come composizione per organo e… versetti biblici.

W – Wizard of Oz
Che c’entra il mago di Oz, nella versione cinematografica di Victor Fleming del 1939 con The Dark Side of the Moon? Nulla, in realtà, ma una consolidata leggenda metropolitana racconta che facendo partire assieme la musica del disco e la pellicola tratta dal favoloso libro di Frank L. Baum del 1900 note e scene avrebbero una misteriosa sincronia perfetta, come se il disco fosse stato concepito secondo dopo secondo per commentare le immagini della pellicola. «Stupidaggini», ha commentato di recente Waters. «Però è una bella storia».

X- X
Quante versioni integrali esistono da parte di altre band di The Dark Side of the Moon, cover band a parte? Un numero X, in divenire. Ne segnaliamo quattro: quella dei Flaming Lips, stesso titolo floydiano, ospiti Peaches e Henry Rollins, quella dei Greenwall, The Green Side of the Moon, quella di Savoldelli/Casarano/Bardoscia, The Great Jazz Gig in the Sky e infine la clamorosa versione per mandolini e mandole di Mandol’In Progress, The Dark Side of the Mandolin.

Y – You
Il «tu» che già impregnava Brain Damage diventa ossessivo in Eclipse, a chiudere il disco. Ce n’è una sequenza di diciotto: a significare che «per quanto tu faccia, il sole è comunque eclissato dalla luna». Anche se, dice lo «speech» finale un po’ nascosto: «Non esiste un lato oscuro della luna. Nei fatti, ci sono solo tenebre».

Z – Zabriskie Point
Il 15 novembre del ’69 i Pink Floyd sono a Roma per lavorare alla colonna sonora del film esistenziale e movimentista assieme ad Antonioni. Registrano più di due ore di musica originale. Antonioni ne sceglierà, bizzosamente, solo dodici minuti. Ma tanta sostanza sonora costruirà, come s’è visto, materia scelta per i capisaldi di The Dark Side of the Moon.