La Scozia è rinata. Mentre chiudiamo il giornale, l’alta affluenza alle urne sembrerebbe rafforzare i «no», motivati dalla campagna di stampa (e vicini al 53% secondo le ultime rivelazioni Ipsos Mori). Ma i toni escatologici della vigilia hanno prima di tutto spinto gli scozzesi a votare in massa. Se alle politiche del 2010 i seggi sembravano deserti, il 97% degli elettori si è registrato questa volta per dire la sua sulla secessione dalla Gran Bretagna.

Qualsiasi sia il risultato finale, da domani la Scozia non sarà più la stessa. Il voto ha risvegliato un entusiamo popolare senza precedenti. Per le strade, circola una folla con megafoni e tamburi, danzatori improvvisati, tra capannelli pieni di libri politici e volantini per l’indipendenza. Le bandiere per il «sì» sventolano dalle finestre. Gruppi di Donne per l’indipendenza, Pensionati per l’Indipendenza, Asiatici scozzesi per il «sì» si vedono dapperutto ai lati dei seggi. La stampa inglese mainstream, così impegnata a inquadrare tutto nei termini del discorso dominante, ha dedicato poca attenzione a raccontare le strade di questa Scozia. Ciò è accaduto soprattutto perché il partito laburista pro-Unione ha sempre sottoscritto l’ortodossia economica prevalente lasciando senza rappresentanza chi non è soddisfatto dal fondamentalismo neo-liberista.

E così soprattutto i giovani, tra i 16 e i 34 anni, si sono schierati per il «sì» all’indipendenza. «L’impegno politico ha da oggi un altro significato. Abbiamo smesso di pensare come consumatori e iniziato a ragionare come cittadini», ci spiega il rapper McGarvey, detto Loki. È la voce delle periferie urbane, come conferma John Daley, pescatore di 57 anni: «Quando mi dirigo verso la periferia trovo solo capannoni industriali e fattorie in rovina», ammette l’ex elettore dei Labour ora sostenitore del «sì» alla secessione.

Questi scozzesi sono ben diversi dalla rappresentazione che viene fatta di loro dai media nazionali. Molti di loro nulla hanno a che fare con i nazionalisti di Alex Salmond (Snp). Per esempio, il reporter Robin McAlpine spiega che il cuore di questa campagna è stata promossa al di fuori dello schema «Salmond contro Westminster» e la struttura politica formale. McAlpine ha parlato a migliaia di comizi, pienissimi di sostenitori del «sì», raccontava a tutti di una «ribellione», fatta di humor, contatti informali e volantini. «Quello che succede qui va oltre il reame del discorso politico permesso, siamo senza leader o strategie precise», aggiunge.

A Edinburgo, decine di zampognari sono stati reclutati dai sostenitori dell’indipendenza per suonare ogni quattro ore per le vie della città, motivando la gente a recarsi alle urne. Le compagnie private di taxi hanno offerto trasporti gratis agli elettori per condurli ai seggi. Secondo il Times, sono stati 300 mila i cittadini portati alle urne in questo modo nelle prime ore di ieri. La strategia per spingere gli scozzesi ai seggi è usata da ambo i fronti. Anche nella roccaforte dei secessionisti di Dundee, caravan e mini-bus hanno scorazzato per tutta la giornata gli indipendentisti.

Ma la tensione è alle stelle. Un uomo è stato arrestato con l’accusa di aggressione di un consigliere laburista fuori da un seggio a Clydebank, nell’ovest della Scozia. Scontri tra sostenitori del «sì» e del «no» si sono registrati a Glasgow. La polizia ha sedato una rissa di un gruppo di manifestanti della campagna «Meglio Insieme» che avrebbe attaccato un sostenitore dei «sì» all’indipendenza. Centinaia di volontari per il «no» hanno denunciato di aver subito intimidazioni. Secondo il Daily Telegraph, decine di uomini d’affari scozzesi sarebbero stati molestati per aver pubblicamente espresso la loro contrarietà alla secessione.

Eppure nessuno ha voluto mancare il giorno in cui la Scozia si esprime anche contro l’autorità politica, finanziaria ed editoriale dell’alleanza dei poteri forti (Tory, Labour, LibDem, media e businessmen). Neppure il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, che alla vigilia del voto ha chiesto alla Gran Bretagna di essere «forte, robusta e unita». E neanche il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, che ha tuonato contro l’ingresso della Scozia, nell’Unione europea, per anni, in caso di indipendenza.

Che i poteri forti abbiano temuto più di ogni altra cosa la vittoria dei «sì» è emerso dai toni roboanti e dalle lacrime del premier Cameron. Eppure anche gli unionisti, per bocca dei grandi partiti, hanno dovuto promettere un cambiamento radicale, per bilanciare l’appeal di un’inversione di rotta che solo la secessione potrebbe portare. Le promesse di una devolution rinforzata in caso di vittoria dei «no» (quei «vasti poteri» al parlamento scozzese) hanno fatto storcere il naso di molti politici conservatori, a dir poco esterrefatti dalla lettera bypartisan degli unionisti (primo fra tutti il ministro dei Trasporti, Claire Perry).

Il messaggio della campagna per il «no» si è ancorato in un orizzonte ristretto, concentrato sulla paura del cambiamento (dai confini alla valuta) e dei rischi della secessione (richiamando la bancarotta e la Grande Depressione in caso di indipendenza). Per trasformare gli indecisi in contrari al divorzio con Londra è stato sufficiente motivare chi vuole che i poteri forti definiscano la strada sicura entro cui apportare riforme limitate. Tuttavia, è chiaro che queste promesse sono ormai poca cosa perché qualsiasi sia il risultato definitivo da domani la Scozia ha conquistato la sua «indipendenza».