La Conferenza COP26, tenutasi a Glasgow è stata organizzata per definire un piano d’azione per affrontare l’emergenza climatica. Tra i principali obiettivi del summit quello di aumentare la resilienza climatica e ridurre le emissioni globali di gas serra, per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C entro il 2030.

Dopo una settimana, la COP26 era però già stata definita la conferenza sul clima più esclusiva e inaccessibile di sempre e aveva ricevuto critiche da parte di attivisti della società civile, che ne hanno messo in dubbio la legittimità.

La maggior parte degli eventi si sono svolti a porte chiuse con i leader mondiali impegnati a ripetere gli stessi consueti discorsi sulla riduzione dei gas serra e sulla finanza climatica.

Fra gli impegni presi troviamo, non a caso, quello aumentare i finanziamenti alla tecnologia per mitigare i cambiamenti climatici. Si tratta di un approccio emblematico perché dimostra che, ancora una volta, sono i filantropi e i grandi investitori tecnologici a dettare l’agenda globale. Ancora una volta, le aziende inquinanti possono sfuggire alle proprie responsabilità. Non solo. Possono investire, e trarre profitti, con false soluzioni ai danni da loro stessi creati.

Da questo punto di vista la COP 26 ha rappresentato una grande operazione di greenwashing. Invece di invertire la tendenza in atto, tutto sembra condurre a un’ulteriore digitalizzazione dell’agricoltura, a un aumento delle colture Ogm resistenti al clima, al cibo artificiale, ai crediti di carbonio e ad altre false soluzioni che non mettono in discussione le cause primarie del cambiamento climatico. Queste soluzioni tecnologiche ignorano completamente il potere della natura e negano le sue capacità rigenerative. Una deriva che va a tutto vantaggio delle grandi multinazionali del settore.

Non sorprende, dunque, che la COP26 è riuscita a mobilitare più di 100.000 attivisti che hanno dato vita a più di 300 manifestazioni in tutto il mondo. Il cambiamento climatico non può essere affrontato senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industriale e globalizzato; ma le proposte degli ambientalisti, che chiedono a gran voce di cambiare modello produttivo investendo sull’agricoltura rigenerativa e sulla salvaguardia della biodiversità, non sono state prese in reale considerazione.
L’obiettivo principale sembra quello di spostare il potere politico dagli agricoltori biologici e dalle comunità locali verso le aziende biotecnologiche e i grandi investitori che non tengono in nessun conto le culture alimentari che si sono evolute insieme ai diversi ecosistemi. Ma è proprio in questi contesti che troviamo le vere risposte ai cambiamenti climatici.

Sono moltissime le comunità locali in tutto il mondo che hanno capito che è necessario interrompere la guerra alla natura e lavorare al suo fianco per ripristinare la biodiversità e rigenerare i cicli naturali danneggiati dalla dissennata attività dell’uomo. Le soluzioni agroecologiche si basano su un approccio sistemico, una profonda comprensione dei cicli vitali della natura e della terra, e comportano una trasformazione politica, sociale ed economica. E rappresentano l’unica soluzione alla crisi climatica.