Dopo la corruzione del sindacato Uaw negli Stati Uniti denunciata dalla concorrente General Motors, l’evasione fiscale in Italia. Fca paga a distanza l’eredità giudiziaria lasciata dalla gestione di Sergio Marchionne. E a breve rischia di dover sborsare 1,3 miliardi di euro all’Agenzia delle Entrate. I fatti risalgono al 2014, anno in cui si completò la fusione fra Fiat e Chrysler. Nacque Fca e Marchionne decise di lasciare la storica sede di Torino proprio per ragioni fiscali: la nuova società fu registrata come sede legale in Olanda – dove il diritto societario favoriva la Exor degli Agnelli nelle votazioni dei consigli di amministrazione – e sede fiscale in Gran Bretagna, dove la tassazione è più bassa, inferiore al 20 per cento.
Da quel giorno l’erario italiano è rimasto all’asciutto: nessuna entrata sui profitti Fca nonostante ancora buona parte della produzione sia fatta nei 5 stabilimenti del gruppo dislocati lungo la penisola: Grugliasco e Mirafiori a Torino, Cassino, Pomigliano e Melfi. Ma nel 2014 Fca dovette pagare comunque pagare la sua ultima imposta, la cosiddetta «exit tax» con aliquota del 27,5 per cento: un’imposta che l’Italia applica sulle plusvalenze realizzate quando le società spostano le loro attività al di fuori del paese. Solo che quel furbone di Marchionne aveva volutamente abbassato la valutazione su quanto valesse Chrysler: invece che i 12,5 miliardi stimati dall’Agenzia delle Entrate ai soli 7,5 consigliati dai consulenti. È il motivo per cui Fca rischia ora di dover pagare arretrati al fisco italiano per circa 1,3 miliardi di euro: il 27,5% di 5,1 miliardi.
Quando Fiat Chrysler ha debuttato alla Borsa di New York a metà ottobre 2014, la società aveva un valore di mercato di circa 8,3 miliardi di euro.
Come capita a tutti i grandi evasori, Fca potrà comunque contrattare con l’Agenzia delle entrate e chiudere il contenzioso per una cifra inferiore.
I negoziati tra Fca e il fisco italiano dovrebbero concludersi entro 60 giorni, dunque entro la fine dell’anno, come risulta anche dalla relazione di Fca del terzo trimestre. Se non si dovesse pervenire a un accordo si aprirebbe un altro pesante contenzioso giudiziario per il gruppo italo americano.
«Non condividiamo affatto le considerazioni contenute in questa relazione preliminare – ribatte l’azienda – e abbiamo fiducia nel fatto che otterremo una sostanziale riduzione dei relativi importi. Va inoltre rilevato che qualsivoglia plusvalenza tassabile che fosse accertata sarebbe compensata da perdite pregresse, senza alcun significativo esborso di liquidità o conseguenza sui risultati».
«Va inoltre rilevato che qualsivoglia plusvalenza tassabile che fosse accertata sarebbe compensata da perdite pregresse, senza alcun significativo esborso di liquidità o conseguenza sui risultati», aggiunge il portavoce del gruppo italo americano.
A Piazza Affari il titolo ha chiuso la giornata in calo dello 0,8% insieme a quelli di Exor (-1,2%) e Cnh (-1%).
Fca aveva già segnalato il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate nella trimestrale al 31 ottobre. Questo vuol dire che Psa, con cui prosegue il confronto per definire i termini della fusione, era a conoscenza della contestazione del fisco. Secondo fonti vicine al dossier, citate dall’agenzia americana Bloomberg, la società francese non si aspetta che ciò danneggi o ritardare la fusione.