«Oggi la crisi delle socialdemocrazie è la crisi dell’Europa. In questo ambito, la socialdemocrazia dovrà cambiare. Altrimenti finirà per essere una forza residuale». Alexis Tsipras ancora non sa, nella sua domenica fiorentina, che l’osservazione troverà l’indomani una conferma nel voto delle elezioni rumene. Un risultato a sorpresa, segnalano i media sulla scorta dei sondaggi che davano in netto vantaggio i socialdemocratici. Ma anche, fatte salve le specificità del caso, l’ennesimo, simbolico segnale di un’analisi confermata dal voto popolare.

Se i sondaggi non riescono più a intercettare la volontà dei cittadini-elettori, buona parte della responsabilità va alla spessa «nuvola del verosimile»: applaudita metafora con cui, da esperta analista dell’informazione, Norma Rangeri guarda al caso italiano, denunciando le assonanze fra renzismo e berlusconismo nella dimensione – sempre strategica – della comunicazione da trasmettere al «popolo». Quella denunciata anche dalla Cgil con il satirico cinegiornale da Istituto Luce.

C’è in aggiunta, e il caso rumeno è ancora cartina di tornasole, con l’annuncio di una nuova coabitazione fra socialdemocratici e popolari, la dimensione della «grande coalizione» come condizione naturale per il dispiegarsi delle politiche europee. È proprio l’impostazione che Transform! ha sottoposto alla discussione, in un appuntamento che ha offerto all’auditorium di Sant’Apollonia un’autentica – ed energetica – overdose di competenze intellettuali, di sensibilità politiche e dei «saperi di strada»: quelli del lavoro nelle sue forme odierne, manifatturiere, cognitive, di servizio. Imprescindibili per ogni sinistra.

Nell’assenza (reiterata) del servizio pubblico, grazie a Radio Radicale si possono riascoltare tutti gli interventi, dai quali sono emersi con forza due temi. Il primo evidenziato dai relatori è quello dell’urgenza di dare una risposta, politica, a quanto sta accadendo nelle piazze, nelle fabbriche, nei mille luoghi del lavoro e dello studio. «C’è una ripresa di protagonismo di massa che aspettavamo da tempo – osserva Marco Revelli – c’è il lavoro che si è rimesso in marcia e che si è ripreso le città. Lo ‘sciopero sociale’ di venerdì, in contemporanea con lo sciopero della Fiom, segnala un salto di qualità: il diamante spezzato si ricompone. Ma quanto più cresce il vuoto di alternativa a sinistra, tanto più crescono le mostruosità, come quella di Tor Sapienza, che vengono sempre prodotte dalle crisi, specie se prolungate».

«Assistiamo a un nuovo autunno caldo? – si interroga Rangeri – Non lo so. Ma so che questa protesta sociale, senza rappresentanza, continuerà e si allargherà se non troverà risposte, sia immediate che di lungo termine». E Alfonso Gianni sistemizza il concetto: «C’è una sinistra di popolo che chiede una sinistra popolare che non c’è, di fronte a quella che è stata la profonda trasformazione del tessuto civile e sociale dell’intero continente europeo. La separazione fra capitalismo finanziario e democrazia è un processo storico, e da questo processo deriva la crisi dei corpi intermedi e quindi anche la crisi dei partiti. Il ‘renzismo’ e il Pd vanno collocati in questo processo: un partito pigliatutto, un partito-governo che rappresenta il potere costituito. A cui noi dobbiamo contrapporre un potere costituente fatto di democrazia deliberativa, movimenti sociali, e da un nuovo soggetto politico della sinistra la cui costruzione è urgente».

Sul terreno, e fra l’auditorium di Sant’Apollonia il dato politico è presente, si confrontano e si studiano due ipotesi di lavoro. C’è il progetto dell’Altra Europa, quello che il suo comitato operativo – formato dalle forze politiche e sociali che hanno dato vita alla lista Tsipras – si propone per mano di Marco Revelli come «un processo costituente che abbia l’obiettivo di costruire un soggetto politico europeo della sinistra e dei democratici italiani». Un passaggio che per Paolo Ferrero del Prc è fondamentale: «Alle europee, l’Altra Europa è stato il punto più alto di unità a sinistra da anni. Dobbiamo seguire questo cammino, e il documento di Revelli è un fondamentale punto di partenza».

In parallelo c’è il progetto, ricordato da Nichi Vendola anche oggi, della «coalizione dei diritti e del lavoro», battezzato in piazza Santi Apostoli da Sel, da una parte del Prc e con il «dem critico» Pippo Civati. Proprio Civati è l’unico Pd a essere qui, dopo che Sergio Cofferati si è scusato per il forfait, facendo peraltro sapere che il suo partito commette un grave errore politico seguendo le politiche dell’Ue. Civati offre di persona il suo contributo: «Io non voglio fondare niente: io vorrei fondare il centrosinistra, cioè vorrei non fare una piccola sigla». Mentre Vendola avverte che «le piazze operaie ci dicono che non abbiamo più tempo» e citando Syriza e Podemos osserva: «Io vorrei una sinistra che sfidi Renzi per batterlo. Per il governo. Lui spera in una sinistra identitaria, gonfia di slogan, e noi questo non lo possiamo fare».

Nell’analisi del leader di Sel il tema dell’Europa resta in sottofondo, così come in quella di Ferrero resta in sottofondo il governo. Dalle testimonianze, applauditissime, dell’operaio Stafano Garzuglia dell’Ast di Terni e di Michele De Palma della Fiom, emerge che per loro il campo di gioco è l’Europa: «Noi siamo stati svenduti da una multinazionale all’altra dall’Ue – ricorda il primo – da qui nascono i nostri problemi. E quelli della siderurgia italiana». Mentre De Palma osserva che «le vertenze le vinciamo se stiamo in Europa, ormai al Mise non si risolve nulla». La conferma, a tutto campo, arriva da Curzio Maltese: «Noi dobbiamo allargare lo sguardo all’Europa: in Italia ancora non capiamo, all’estero invece sì. Sia Syriza che Podemos hanno piattaforme programmatiche di critica all’Ue, assai più che contro i loro governi. Da tempo Tsipras, e ora Pablo Iglesias, dicono che vogliono vincere per cambiare le politiche continentali. Gli elettori li premiano».