Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, rischia grosso. Alla conclusione dell’interrogatorio a cui è sottoposta da ieri dalla Corte di giustizia della Repubblica (il tribunale dei ministri) potrebbe venire incriminata per “complicità in falso e appropriazione indebita di fondi pubblici”. Deve chiarire come mai, nel 2008, quando era ministra delle finanze sotto la presidenza Sarkozy, aveva accettato che il contenzioso che dal ’93 opponeva il controverso uomo d’affari Bernard Tapie allo stato e al Crédit Lyonnais (ai tempi dell’affaire banca pubblica), venisse risolto con un “arbitrato” privato, invece di lasciare che la giustizia seguisse il suo corso. Grazie a questo arbitrato, Tapie ha ottenuto tutto quello che voleva: 403 milioni di euro di risarcimenti (di cui 45 solo per “pregiudizio morale”), trasformando un uomo rovinato e fallito di nuovo in milionario. Se verrà incriminata in Francia, Lagarde potrebbe essere costretta a lasciare la carica all’Fmi, anche se a Washington l’istituzione la difende. Per la Francia, sarebbe un enorme scacco, dopo il precedente di Dominique Strauss-Kahn. Per questo, François Hollande, che ha ricevuto di recente Lagarde, spera in una soluzione più soft, cioè in una convocazione dell’ex ministra come “testimone assistito” al posto dell’incriminazione, che prevede, in caso di condanna, un massimo di pena di 10 anni di carcere e 150mila euro di multa.

Lagarde afferma di non essere colpevole. “Ho sempre agito nell’interesse dello stato”, ha detto ai giudici. Tapie ha sempre affermato di essere stato vittima di una truffa, perpetrata a suo danno dal Crédit Lyonnais in occasione della rivendita della sua partecipazione nella Adidas. Tapie aveva comprato l’80% del capitale di Adidas nel ’90, prendendo i soldi a credito dal Crédit Lyonnais, allora banca pubblica. Tapie è pero’ sull’orlo del fallimento. Il Lyonnais ha l’incarico di vendere la sua partecipazione e lo fa, dopo alcuni passaggi, ottenendo un guadagno considerevole. Risulterà che il Lyonnais aveva comprato una parte della partecipazione di Tapie tramite una sua filiale in un paradiso fiscale. Il ministero delle finanze e il Consorzio di realizzazione (l’organismo pubblico che gestisce il passivo del Crédit Lyonnais, che nel frattempo aveva sfiorato il fallimento) avevano consigliato alla ministra Lagarde di lasciare la giustizia fare il suo corso e di evitare l’arbitrato privato, una struttura sollecitata spesso nel mondo degli affari. Ma Lagarde ha deciso altrimenti e quando, per due volte, si è presentata l’occasione di fare marcia indietro, si è sempre rifiutata di agire. Come mai? I sospetti sono politici. Lagarde deve tutto in politica a Nicolas Sarkozy. Era un’avvocata d’affari che aveva lavorato a lungo negli Usa quando Sarkozy, poco dopo l’elezione all’Eliseo, la sceglie come ministra delle finanze. Tapie, che era stato ministro con Mitterrand, nella campagna del 2007 si era schierato con Sarkozy. Dall’inchiesta in corso sui fondi neri alla politica della miliardaria Liliane Bettencourt (proprietaria de L’Oréal) è venuto fuori che Sarkozy ha incontrato Tapie ben sei volte durante la campagna e, dopo essere stato eletto, l’ha ricevuto all’Eliseo dodici volte.  “Sotto l’apparente regolarità di una procedura di arbitrato – scrive nel capo d’accusa la Corte di giustizia della repubblica – si dissimula in realtà un’azione concertata per concedere agli sposi Tapie e alle società di cui controllano, direttamente o indirettamente, il capitale, le somme che non avevano fino ad allora potuto ottenere” dai tribunali. Uomini di Sarkozy, oggi implicati nell’inchiesta, come l’ex ministro Claude Guéant o l’ex capo gabinetto di Lagarde Stéphane Richard (oggi Ceo di Orange) hanno spinto Lagarde, che non ha mai fatto parte dell’entourage di Tapie, ad accettare l’arbitrato. In caso di incriminazione di Lagarde, dovrà venire affrontata la questione del tipo di legame esistente tra Tapie e Sarkozy, tra affari e politica. Sarkozy, quando era ministro delle finanze nel 2004, aveva già tentato di mettere fine al conflitto tra lo stato e Tapie, ma l’uomo d’affari aveva rifiutato la soluzione finanziaria proposta, giudicata troppo bassa.