«È gargantuesco nelle sue abitudini. Ecco cosa penso di lui.» «È il suo stile». «Sì, il suo stile di vita, il suo stile verbale ed emotivo»». Il soggetto è il contrabbassista e compositore Charles Mingus e lo scambio di opinioni è tra Max Gordon, fondatore del newyorkese Village Vanguard (aperto nel 1935) e John F. Goodman, autore di Mingus secondo Mingus. Interviste sulla vita e la musica (minimum fax, pp.482, euro 18). Il dialogo è a pagina 202 di un testo veramente «pantagruelico», teso a dare compiutamente la parola al contrabbassista.

Mingus secondo Mingus corrisponde alle registrazione degli assoli di Charlie Parker realizzate dal sassofonista Dean Benedetti negli anni ’40: nasce da una passione autentica per il jazz, in particolare per la musica del contrabbassista da parte Goodman, esperto di comunicazione, marketing e media consulting che per nove anni si è occupato di jazz, musica classica e rock per la rivista Playboy (direttore editoriale Sheldon Wax). Rapito dal concerto Mingus and Friends (New York, 4 febbraio 1972), John F.Goodman prese ad intervistare a più riprese per due anni (sino al 1974) il jazzista, di cui diventò amico, con il proposito di realizzare un libro e poi un’opera multimediale (finanziata nel 2008 dal N.Y Foundation for the Arts ma mai andata in porto).

Nelle quasi cinquecento pagine, tuttavia, Mingus tratta tutti i temi importanti della sua musica così visceralmente intrecciata alla propria esistenza: il rapporto tra avanguardia e tradizione come quello tra scrittura e creatività; le difficoltà nello «sbarcare il lunario»; le relazioni con i musicisti; i conflittuali rapporti con le case discografiche e l’industria musicale; i club e gli odiati critici; i suoi rapporti con le donne e Sue Graham; la sua opinione sul rock ed il free, la politica e il razzismo. Un autentico spaccato del «Mingus pensiero» con tutte le sue straordinarie intuizioni ed idiosincrasie, visioni e lucidissime analisi.

A lui la parola: «A un certo punto i neri erano uniti dal blues, e sapevano che c’era una ragione se avevano il blues (…) Il blues è un sentimento sul quale puoi suonare e improvvisare (…) Il blues è il linguaggio di una persona che piange i suoi sentimenti di fronte a un’altra, esprimendo ciò che sente, il dolore e tutto il resto». (p.347)

Il corpus delle interviste è organizzato in tredici capitoli tematici, arricchiti, in coda a ciascuna, con interventi che fanno ora da «seconda voce» ora da «controcanto» a Mingus: Sy Johnson e Bobby Jones (jazzisti e compagni di viaggio), Gordon, Teo Macero (musicista e produttore discografico), Sue Graham (ultima compagna del jazzista di Nogales), Dan Morgesten (critico e storico) ed altri. Attenzione, però: questo è un libro utilissimo a chi già conosce Mingus e la sua musica, è un «documentario sonoro» affascinante che ha bisogno di una conoscenza «preventiva” della materia, perlomeno di aver ascoltato l’album Let My Children Hear Music che più volte emerge dall’affabulazione mingusiana.

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