Indagare il senso del mondo attraverso aria, acqua, terra e fuoco è produttivo. I quattro elementi marcano da sempre il divenire della natura e dell’uomo. Guardarli vuol dire entrare nel corso del tempo per comprenderci, liberi del peso della soggettività. Siamo fatti di sostanze e a esse torniamo.
Uno degli eventi collaterali della 55/ma Biennale Arte, Nell’acqua capisco, sposa questa visione. La mostra, promossa dalla Hart Foundation e dal museo Ciac, risveglia l’immaginario sull’acqua in modo visivo, sonoro e gustativo. Lea Mattarella e Claudio Libero Pisano invitano diciassette artisti a esporre nelle sedi dell’Ateneo Veneto e delle Procuratie del Sansovino, in Piazza San Marco. Vi si trovano la «superficialità» dell’acqua, che è il suo sembrare e specchiare, una pelle di riflessi. E la «profondità», essere scuro e ricco d’ombre, «grembo madre» (Bachelard). L’aria in sé non è meno stratificata. Qualcuno avrà ancora negli occhi le gradazioni di colore della mostra Azur. Giusto vent’anni fa, a Parigi, Fondazione Cartier raccontava l’umano con il filtro dell’atmosfera (troposfera, stratosfera, mesosfera, ionosfera, esosfera), potere di abisso e di vertigine.
Ugualmente, nella collettiva veneziana, si distinguono gli esperimenti che danno forma e funzione narrativa all’acqua, in quiete o in moto, stato liquido o solido. Le foto di Marina Paris (Variable Space) inquadrano il Pac di Milano da una pozzanghera, pronosticando uno spazio museale entropico, cangiante. Come in Nabokov, la pozza, finestra capovolta, schiude altri livelli di realtà. A questo uso speculare dell’acqua, dispositivo di riflessione e rifrazione dell’esterno, si affiancano esplorazioni interne. Alberto Di Fabio si ispira alla meccanica quantistica per modellizzare, in una serie di dipinti, la struttura cristallina dell’acqua e la propagazione della liquidità (Quanti). Emerge la differenza fra proprietà corpuscolari e proprietà ondulatorie della materia. Donatella Landi filma la vita delle foche nell’habitat marino (Robben), mentre Simone Cametti sonda l’attività di un lago ghiacciato in due gigantografie (Europa Moon). Una panoramica e un primo piano, collegate a un sistema audio con cuffie, integrano la veduta di un’enorme lastra di ghiaccio con l’ascolto dei suoi fragori. Immagini-testimonianza, ironiche, di un nuovo sbarco sulla Luna?
Nelle relazioni con l’uomo l’acqua, oltre a essere attante trasformazionale o di controllo, può agire da adiuvante o da opponente. L’Ofelia di Barbara Salvucci coglie l’aspetto terminativo del suicidio del personaggio shakespeariano: la metamorfosi somatica, per mediazione benevola dell’acqua, nel petalo di una ninfea. Organismi vegetali ricorrono anche nel distillatore Agua de beber, un alambicco di filtraggio e depurazione che Annie Ratti esuma dai primi del Novecento. Il visitatore apprezza così l’accezione dell’acqua come bevanda macronutriente, risorsa essenziale distribuita nell’ottica di un consumo ecologico. Invece la partecipazione di Gregorio Botta all’Ateneo Veneto palesa l’ambiguità dell’elemento, la polarizzazione positiva o negativa in rapporto ai punti di vista. Il dittico Claustro è composto da due stretti e alti «tempietti» in ferro, tipici della produzione dell’artista, che si fronteggiano. Sottili feritoie li rendono scatole prospettiche. Uno ospita riprese video di una grotta marina, l’altro proiezioni dei suoi fondali. La grotta, rifugio ancestrale dell’uomo, ha le sue insidie, espone alle intemperie. Una terza scultura templare, Non è l’acqua che scorre, riassume il senso delle prime due. Il suo tetto dovrebbe offrire riparo, ma vi piove incessantemente. Il verso zen che dà il titolo all’opera, Non è l’acqua che scorre: è il ponte!, allude alla necessità di rovesciare il punto di vista: siamo noi a scorrere, malgrado chiostri e grotte. Il nostro divenire non contempla ripari.
L’acqua è invece propriamente antagonista nelle opere intrise di implicazioni politiche. In un video e due fotografie Regina José Galindo denuncia che cos’è Limpieza Social per le carceri del Guatemala, terra d’origine: torturare e mortificare la donna orientando contro il suo corpo nudo un getto ad alta pressione. È chiaro che qui l’acqua ha avuto in delega dall’uomo la competenza ad offendere. Il filmato di Francesco Vaccaro K-Kilo Desidero comunicare con voi, meno esplicito, legge fatti di cronaca con una simile sfaccettatura. Pesanti cavi che, da fermi, tirano a secco delle ancore sono il sintomo di un avvenuto naufragio. Non uno qualsiasi. I colori giallo e blu dell’opera, uniti al titolo, rimandano al Codice Internazionale Nautico e all’ingiunzione del comandante della capitaneria di porto nell’episodio della Costa Concordia. Nel video il messaggio, non più coincidente con la fase «topica» della storia, ma abbinato al gesto postumo del recupero delle ancore, sembra proferito da credibili testimoni: i componenti materiali della nave e il mare. Nuovamente, l’acqua osteggia l’uomo, inghiottendolo, perché cattive pratiche umane la inducono a farlo. È vero che «tutto scorre» (Eraclito), noncurante delle tracce. Il video-scultura di Gregorio Botta alle Procuratie, Young english poet, richiama l’epitaffio di John Keats, «uno il cui nome fu scritto sull’acqua», per ragionare appunto sul dilemma fra la volontà, connaturata all’uomo, di segnare e significare, e il tempo, che viceversa favorisce l’impermanenza, la cancellazione. La scrittura, già nel compiersi, è segno sull’acqua tracciato da un’ombra. Ma, se «tutto scorre», la volontà non può arrendersi, deve continuare a solidificarlo. È il merito di questa mostra. L’impegno di ciascuno non sarà certo quello di assecondare «amore», «paura», «arte» e «vita» liquidi, sostenendo, con Bauman, che è la postmodernità.