Non è precisamente un benvenuto quello che il presidente della Repubblica riserva ai manifestanti che oggi sfileranno a Roma in difesa della Costituzione. Se l’obiettivo principale dell’iniziativa «La via Maestra» lanciata da Carlassare, Rodotà, Ciotti, Landini e Zagrebelsky è il progetto di riforma costituzionale voluto dal governo, il capo dello stato alla vigilia del corteo dice che «è possibile e necessario affrontare il compito di un sapiente rinnovamento del nostro ordinamento costituzionale».

Giorgio Napolitano fa arrivare un messaggio agli organizzatori italo-francesi di un convegno sulle riforme e affronta il tema che tra martedì e mercoledì prossimi impegnerà il senato. È infatti arrivato al secondo passaggio previsto per le leggi costituzionali il disegno di legge governativo che deroga alla procedura dell’articolo 138, prevedendo – tra le altre cose – tempi più stretti, minore possibilità di intervento dei parlamentari e referendum obbligatorio al termine del percorso delle riforme. Che Napolitano ritenga necessarie e urgenti profonde modifiche alla Carta è noto, il presidente aveva anche insediato un gruppo di lavoro al Quirinale sul tema, esperienza poi evolutasi nella commissione dei «saggi» che hanno preparato una relazione per l’esecutivo. Il capo dello stato aggiunge che le riforme devono avvenire in maniera «coerente con i valori fondanti» della Costituzione, assunto che neanche il più sfrenato innovatore nega.
Allo stesso convegno di Cogne arriva un messaggio del presidente del Consiglio, che insiste nel giudicare inservibile l’architettura istituzionale disegnata dalla Costituzione. Come già in occasione del recente dibattito sulla fiducia, Enrico Letta imputa alla seconda parte della Carta lo stallo che ha bloccato il parlamento tra le elezioni di febbraio e la formazione del governo in aprile. La colpa sarebbe tutta del bicameralismo paritario, piuttosto che dei partiti e della legge elettorale. «Il nostro paese si salva se avrà istituzioni che funzionano, l’impasse politica che abbiamo subito intorno alle elezioni ha provocato danni enormi, anche economici», dice Letta. Che poi aggiunge: «Il governo aveva l’idea di concludere le riforme in 18 mesi, il cronoprogramma è rispettato e siamo anzi in anticipo e vogliamo continuare a tenere il punto».

L’anticipo è discutibile: al momento dell’insediamento Letta aveva parlato di riforme in 18 mesi, poi si era capito che il termine doveva essere contato a partire dall’approvazione della deroga alla procedura di revisione, deroga che doveva essere legge entro ottobre. Invece la camera – stante la regola del periodo di riflessione di tre mesi – potrà esprimere l’ultimo sì solo a dicembre. In ogni caso a Natale, dopo otto mesi di lavoro del parlamento, saremo ancora all’ouverture delle riforme. Di merito il costituendo comitato dei 42 comincerà a parlare solo nel 2014, quando le diverse proposte di legge potranno essere esaminate. E allora, quando si tratterà di decidere sulla forma di stato, la forma di governo e sul parlamento, bisognerà sbrigarsi e concludere i lavori del nuovo comitato in sei mesi appena.