Ormai è un’ossessione. Da quando si è insediato, il governo Meloni si è caratterizzato per l’accanimento contro la fauna e la solerzia con cui esegue le indicazioni dei cacciatori. E così anche il decreto-legge «Agricoltura», proposto dal ministro Lollobrigida e approvato il 6 maggio dal Consiglio dei ministri, si caratterizza per essere l’ennesimo provvedimento in cui si sfruttano vere o presunte emergenze, non tanto per risolverle, ma per accontentare le richieste del proprio elettorato di riferimento. Oltre a intervenire in maniera confusa per vietare gli impianti fotovoltaici in aree agricole, il decreto contiene una serie di disposizioni che ledono le già limitate misure di tutela della fauna. Il trasferimento della competenza funzionale dei Carabinieri forestali dal Ministero dell’Ambiente a quello dell’Agricoltura, ad esempio, è stato subito accolto con esultanza dal mondo venatorio, ma il passaggio della SOARDA – Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno agli Animali – dei Carabinieri sotto il controllo del ministero da sempre vicino ai cacciatori non ha alcun senso dal punto di vista logico e operativo.

Una riflessione a parte merita poi quanto stabilito per contrastare la Peste Suina Africana (PSA). Il ricorso all’esercito per abbattere i cinghiali, utilizzando armi da guerra, dopo che per oltre due mesi il governo ha dimenticato di riconfermare il Commissario straordinario e gli animali morti per PSA sono stati trovati vicino a Langhirano, sede del Consorzio del prosciutto di Parma, rappresenta solo una inutile foglia di fico per nascondere un fallimento politico.

Per contrastare la PSA e contenere la fauna selvatica, governo e parlamento, oltre ad aver nominato il Commissario, hanno modificato la legge sulla caccia, creando piani straordinari di contenimento affidati ai cacciatori, eliminando la supervisione scientifica di Ispra e il controllo delle forze di polizia. Il tutto accompagnato dallo stanziamento di ingenti somme: con la scusa del contenimento della fauna, infatti, sono stati aumentati di ulteriori 500.000 euro i contributi pubblici regalati ogni anno alle associazioni venatorie a cui oggi si aggiungono oltre 3 milioni di euro complessivi forniti all’esercito, cioè a personale privo delle necessarie conoscenze in materia, piuttosto che rafforzare le polizie provinciali, deputate a questi compiti, ma ormai paragonabili a specie in via di estinzione.

Invece di riconoscere come l’approccio fin qui seguito sia stato fallimentare, si insiste in maniera ideologica e antiscientifica nella convinzione che l’uomo debba dominare la natura, piegandola ai suoi capricci. Particolarmente preoccupante è poi l’affidamento all’esercito, sulla base di leggi varate per contrastare il terrorismo, di specifici poteri di identificazione di chi ostacolerebbe le attività di abbattimento degli animali. Si dimentica che il vero rischio per la sicurezza pubblica non sono gli animalisti, ma le migliaia di privati cittadini armati e autorizzati a sparare dappertutto che negli anni hanno provocato decine e decine di «omicidi venatori» colpendo anche semplici cittadini colpevoli solo di passeggiare in natura durante una battuta di caccia.