Mentre scriviamo, il numero delle vittime ha raggiunto quota 3605, i contagi sono 38168. Mille anni fa, il Labour era guidato da un tal Jeremy Corbyn, che alle ultime elezioni politiche, lo scorso dicembre, lo ha condotto verso una delle più cocenti batoste della sua storia. Oggi che si annuncia lo spoglio delle primarie, Keir Starmer dovrebbe essere… (no, quel verbo non lo usiamo) leader del partito. Assieme alle sue rivali, Rebecca Long-Bailey e Lisa Nandy, ha preregistrato un discorso di accettazione della carica, ogni cerimonia fisica ovviamente soppressa per l’emergenza sanitaria.

E domani, dal suo ritiro a Windsor, Sua Immunità Elisabetta II dovrebbe rivolgersi alla nazione in via del tutto eccezionale (lo fa solo a Natale e in caso di altre calamità (in)naturali, come la morte accidentale della nuora).

NEL BEL MEZZO del lockdown, le primarie del partito laburista sono un rimando al grande Prima, quando i veri problemi sembravano Brexit o la democrazia senza alternanza che caratterizza la politica di queste isole da ormai un mefitico quindicennio. Per le rivali di Starmer, Long-Bailey e Nandy, rispettivamente la candidata della continuità corbynista e la deputata di Wigan che «pragmaticamente» ha sposato le tendenze al populismo xenofobo di sinistra imperversanti nel suo collegio, non sembrano esserci, ancora alla vigilia, molte chances, anche se è molto probabile che Nandy surclassi Long-Bailey, rea di aver frequentato Corbyn senza mascherina politica fino all’ultimo.

L’AVVOCATO (SIR) STARMER, un ecumenico ex ministro ombra per Brexit e in prima fila nel raccomandare un secondo referendum che, impunemente ignorando le istanze di classe dell’elettorato del nord, ha finito per infilarlo nelle tasche dei doppiopetti tories, è l’uomo giusto per la sterzata verso il centro disperatamente anelata dai tecnocrati del partito.

Ma ci vorrà olio di gomito per cancellare il Labour che erediterà da Jeremy Corbyn: un sondaggio di YouGov pubblicato giovedì scorso dal sito Labour List ricorda che i membri del partito, un seicentomila scarsi che autorizza a ritenerli più numerosi degli iscritti di qualunque altro partito europeo, sono ancora massicciamente a favore delle misure social-stataliste con le quali il partito si è presentato alle urne e che sono valse a Corbyn la gogna mediatico-politica.

Insomma, i connotati Labour sono cambiati e ci vorrà del tempo per riportarlo al centro, soprattutto ora che l’emergenza infettiva ha costretto i Tories di Johnson a voltare le spalle alla loro vocazionale tutela del grande e piccolo capitale, introducendo delle misure di sostegno al lavoro che nemmeno Evo Morales. Starmer potrà iniziare le purghe ai vertici del partito soltanto se il suo margine di vittoria sulle rivali sarà schiacciante.

I SONDAGGI che danno i conservatori oltre venti punti sopra il Labour – nonostante la risposta blanda e tardiva data all’emergenza virale per non disturbare l’economia e un numero di posti letto nella sanità pubblica più bassi della Grecia – ancorché desolanti, sono del tutto prevedibili, tanto ricco è l’arsenale mitopoietico del solipsismo/isolazionismo nazionale.

UN MEMBRO DELLA FAMIGLIA reale e mezzo governo allettati (oltre a Johnson, il ministro della sanità Hancock e il Chief medical adviser Whitty) hanno fatto il resto, cavalcando la nozione farlocca e massicciamente propagandata di un virus egalitario. Il muro di consensi eretto con la cazzuola dell’indomabile spirto nazionale attorno al Churchill de’ noantri, ha indotto Starmer a tacere in queste settimane lasciando che fosse Corbyn – che ormai non ha nulla da perdere se non la salute come tutti noi – a muovere le necessarie critiche alla risposta sanitaria, dalla mancanza di tamponi all’ammonire il partito a non entrare in un governo di salute pubblica assieme ai Tories.

Quel che è probabile è che, a guardare al miserando spettacolo pseudo-solidale che sta dando l’Europa, la scelta di aver mollato l’Ue sarà rivendicata a buon titolo a destra come a sinistra.