Tempo fa avevo aperto un mio intervento sul post-elezioni ricordando i tre morti di Civitanova Marche, suicidi perché temevano di non poter far fronte dignitosamente alla perdita del loro lavoro. Li assumevo come sintomo dell’incapacità della politica d’interessarsi delle ferite reali del paese. E in questi giorni la cronaca sembra, di nuovo, sovrapporre la sua evidenza tragica all’inconsistenza fantasmatica della politica.

Si era appena concluso il dibattito sulla fiducia al governo delle larghe intese quando si è verificata la terribile vicenda dei quasi trecento extracomunitari morti nel mare prospiciente Lampedusa mentre cercavano un approdo in Italia. Il contrasto tra i due eventi è troppo forte per non generare delle considerazioni preoccupanti.
Da un lato un governo delle larghe intese, non scelto dagli elettori né del Pd né del Pdl, un governo dato per morto, poi miracolosamente risorto grazie al voto di qualcuno che, già dal 2009, sembrava politicamente in declino ma che continua a ricattare i suoi alleati e il paese, grazie, a mio avviso all’assenza di un’opposizione forte e decisa nei suoi programmi e nelle sue posizioni.

Dall’altro trecento morti veri, anzi trecento uccisi da una legge, la Bossi-Fini, che trasforma in reato la clandestinità e in un comportamento sanzionabile quella logica di aiuto che, almeno in mare, è un codice internazionale ovunque e verso chiunque praticato.
E’ dunque evidente che questa politica non riesce a prendere in carico né il problema dei diritti umani fondamentali delle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità (Art.10 della Costituzione), né il problema di un’estensione del diritto di cittadinanza cui pure un partito che nel nome porta il richiamo alla democrazia dovrebbe farsi carico. Il diritto di accoglienza è infatti uno dei principi degli stati democratici moderni e non può essere scambiato con la resa alle campagne securitarie guidate da una destra populista e xenofoba.

Inutile dire quanto pesi in questo problema dell’emigrazione la mancanza da tempo di una vera politica estera non delegata ai vertici Nato o alla troika europea ma invece attenta a divenire partner in progetti di sviluppo sostenibili ecologicamente e socialmente. L’emigrazione è solo uno degli aspetti e dei sintomi delle ricorrenti crisi economiche e sociali che travagliano il Medio-Oriente e l’Africa.

L’impressione generale di fronte a queste ultime vicissitudini del governo è che, a parte l’anomalia quasi psichiatrica della vicenda di Berlusconi, in Italia da tempo vi è un trasferimento dei livelli decisionali ad organismi come la Commissione Europea o il Fmi con un progressivo svuotamento delle istituzioni rappresentative e degli organi elettivi. E’ un fenomeno che i politologi denominano la governance post-democratica e che ha avuto un ennesimo riscontro nelle dichiarazioni di un’agenzia di rating americana che nelle costituzioni europee vede solo un inutile vincolo alle politiche liberiste e alla flessibilità di ogni istituzione politica di fronte alle necessità del mercato.

Si capisce allora come l’iniziativa lanciata da Carlassarre, Don Ciotti, Landini, Rodotà e Zagrebelsky di convocare una manifestazione a Roma per il 12 ottobre sulla base di una manifesto intitolato “La via maestra” sia ben più della semplice difesa della Costituzione come patto fondante e costitutivo della Repubblica italiana. L’occasione della manifestazione è l’opposizione alla manifesta volontà del governo Letta di modificare l’articolo 138 che disciplina le procedure di mutamento costituzionale. Cadute le tutele e le procedure di garanzia delle minoranze sarebbe molto più facile poter poi procedere a colpi di maggioranza nelle promesse riforme costituzionali. Un primo esempio indicativo e che ha stravolto l’impianto dei diritti sociali costituzionalmente tutelati è stata l’introduzione dell’art.81 sul pareggio di bilancio. In verità un precedente ingombrante, almeno nel metodo era stato già la modifica del paragrafo V° voluta dal governo Prodi.

Alla manifestazione del 12 hanno sinora aderito spezzoni di quell’Italia di sinistra che non si riconosce nel Pd, partiti, singoli intellettuali ed anche associazioni del volontariato, movimenti. E questo mi spinge a delle considerazioni finali sul compito che oggi una sinistra non neo-liberista si deve porre e sul rapporto che i promotori sembrano voler delineare tra la linea della difesa della Costituzione e la prospettiva di una sua attuazione nelle parti più importanti dei diritti sociali.

E’ ovvio in un clima di degrado della vita politica, di diffusione di una sorta di fascino dell’obbedienza e del conformismo da una parte e di sconforto e di depressa rassegnazione dall’altra, che voler interessare alla difesa di un patto di sovranità qualcuno di più dei costituzionalisti e dei politologi di sinistra può avvenire, ad esempio, solo mostrando gli ovvi addentellati tra il primo articolo della Costituzione e la sua attualizzazione nella difesa del lavoro vivo contro i processi di ristrutturazione industriale selvaggia. Ed è anche ovvio che la tentazione che aleggerà in tutti quelli che saranno in piazza il 12 ottobre è quella di pensare quel momento come la possibile fondazione di una nuova aggregazione a sinistra del Pd.

Errore umano troppo umano, desiderio di contare e di contarsi per cambiare. Spesso, però, i desideri non devono avverarsi ma contare come spinta alla vita. E invero – e gli organizzatori lo hanno più volte ribadito – in questo momento occorre ricreare le condizioni per sviluppare una democrazia radicale e radicata piuttosto che aver fretta di arrivare ad aggregazioni mal assortite e mosse da logiche solo elettorali.

Di fronte a tanti anni di pensiero economicista dominante la sinistra non ha solo l’impellente e tattico compito di pensare ad una rappresentanza dentro l’istituzione ma anche la necessità di dare sul lungo periodo un contributo al mutare di linguaggi e prospettive politiche, ai modi diversi da quelli tradizionali di rappresentarsi e articolare il confronto tra i movimenti e i soggetti politici. Un lavoro che deve abbattere steccati tra culture e sensibilità diverse sino ad arrivare a far confluire nella discussione anche forze estranee alla sinistra dal volontariato cattolico agli ecologisti.
Ci sono le premesse perché questo avvenga a partire dal 12 ottobre, vista anche la composizione e la storia dei proponenti. Si tratta di riaprire per davvero le prospettive di una democrazia radicale senza imbarcarsi sulla zattera della Costituzione volendo farsi traghettare troppo velocemente verso qualcosa che non c’è e che ci metterà tempo ad esserci.

Al tempo stesso è necessario aiutare la democrazia a crescere e a far crescere dentro di sé nuove forme della politica ipotizzando nella propria agenda “tattica” ad esempio una proposta di legge popolare sulla legge elettorale. Potrebbe essere un modo per non subire o perlomeno limitare leggi elettorali bipartisan che certo non andranno nella direzione di un ampliamento della democrazia.
*Redazione de Il Tetto