Immaginiamo il 1947. De Gasperi, di ritorno dagli Stati uniti, ha appena rotto il governo di unità antifascista e cacciato dal governo comunisti e socialisti; nelle piazze di tutta Italia impazza uno scontro duro, feroce, tra comunisti e democristiani; basta una pagina di Palmiro, con la lingua scanzonata e geniale di Luigi Di Ruscio, a farci percepire l’aria di quel dopoguerra, sospeso sull’orlo della guerra civile.

Gli stessi protagonisti di quello scontro, però, intanto, a Montecitorio, nell’Assemblea Costituente, costruiscono le colonne, gli archi, i muri portanti della democrazia repubblicana.

«Onorevoli colleghi, io vi chiedo di meditare con me intorno ai problemi fondamentali che concernono la costruzione del nuovo edificio costituzionale…Io mi sono detto: l’attuale crisi costituzionale non è senza una essenziale relazione con l’attuale crisi storica; crisi che investe tutti i rapporti umani, sia teoretici che sociali. Perciò se vogliamo veramente ritrovare la linea solida di questa nuova architettura costituzionale, sarà necessario impostare, nella prospettiva della crisi che travaglia la civiltà contemporanea, l’attuale crisi costituzionale…Come è stato costruito, secondo quale architettonica il nuovo edificio costituzionale…dovrebbe avere salde fondamenta, sicuri muri maestri ed una volta ben costrutta, proporzionata ai muri e proporzionata alla base…La Costituzione è la maschera giuridica che si mette su questo corpo della società…Concerne tutti i rapporti sociali dal punto di vista del diritto…Sia nella prima parte, quando definisce i rapporti dei singoli con lo Stato, ed i rapporti dei singoli fra di loro, sia nella seconda parte, quando, mediante la struttura dello Stato, esso dispone in modo che questi diritti abbiano la tutela ed abbiano le garanzie».

Ho scelto, tra i tanti possibili, non a caso, un intervento di Giorgio La Pira; non pronunciato di notte, ma in una seduta pomeridiana del marzo del ’47. Soprattutto, né lui, né De Gasperi si sarebbero sognati di votare da soli su tali materie.

È però, al di là del livello (che non è quello di Boschi o Delrio), il contenuto di questo breve stralcio, che dovrebbe impressionare, letto oggi.

Architettura ed equilibri, coscienza della crisi storica, garanzie, nella seconda parte, dei diritti fondamentali. Su questi presupposti, pur tra tensioni e pericoli, si è retta per settant’anni, questa Repubblica. Perché, se pure alcune colonne – i partiti di massa – si sono modificati, fino a scomparire, i muri portanti, gli equilibri, i diritti e le garanzie, erano solidi; in alcuni casi – lo Statuto dei lavoratori, appunto – persino rafforzati.
Lo smantellamento a cui stiamo assistendo non ha precedenti nella storia repubblicana, né per assenza di coscienza storica e di architettura costituzionale, né per l’assenza di equilibri istituzionali, né per la demolizione delle tutele e delle garanzie. Quanto è accaduto in Parlamento, sulle norme costituzionali, e i decreti attuativi del jobs act, come l’arroganza del presidente del consiglio, da ventriloquo padronale, contro Landini e la Fiom, è, ovviamente, parte dello stesso disegno demolitore.

Nell’incoscienza più profonda, si fanno tenere la matita da chi tenta di mettere la Grecia con le spalle al muro: svuotare la democrazia, rendere debole il conflitto, ingabbiare, fino a cancellare ogni corpo intermedio, lasciare le mani libere ai populisti utili e obbedienti (che, in Grecia, possono essere i fascisti; ma, d’altra parte, è un film già visto); perché l’Europa che preparano e l’Italia che disegnano, deve redistribuire risorse e poteri verso l’alto; perché, per il mercato, la democrazia è uno strumento tra gli altri, non sempre il migliore.
Dunque, quello che sta accadendo in Italia è senza precedenti.

La risposta democratica di cui c’è bisogno, dev’essere, anch’essa, senza precedenti. Non mi sembra ci sia più spazio per tentennamenti, attese o “ditte” cui essere fedeli.
Si è parlato tanto in questi anni, spesso a sproposito, di interesse nazionale; serve una sinistra nuova e di massa, che difenda e rafforzi quei muri e quegli archi; come in Grecia, come in Spagna, come in Irlanda, è il caso di dire: «Ce lo chiede l’Europa».