Giovani con zaini in spalla camminano in un lento via via per le strade di Msida, località maltese di oltre sette mila abitanti. Sono diretti verso i cancelli dell’“Università ta’ Malta”. Ci fermiamo a parlare con un gruppo di loro: Miguel, Matthew, Samuel, Neve, Giulia e Lianne. Sono tutti iscritti alla facoltà di medicina, tranne Miguel, il più giovane (diciotto anni), che aspira a diventare psicologo. Sono seduti su delle panchine di legno al riparo dal sole. Non sono abituati a domande che riguardano la politica. Riassumono gli ultimi due mesi definendoli come una “confusione”.

Le indagini sull’attentato alla giornalista Daphne Caruana Galizia hanno portato alle dimissioni del premier Joseph Muscat dopo circa due mesi di proteste da parte della società civile. Al suo posto, il 13 gennaio, è subentrato l’avvocato e parlamentare laburista Robert Abela.

Sono passate circa tre settimane, ma «la gente ha speranza» dice Matthew. «Ha sostituito qualche membro del gabinetto, rendendolo il più giovane di sempre, speriamo in un cambio di mentalità» ribatte Miguel, che sembra quello più ottimista tra loro. Di Muscat, invece, non sopportano che la sua figura sia stata idolatrata dai laburisti. «Nelle immagini del discorso di dimissioni si vedono bambini che piangono, è inconcepibile una cosa simile» afferma Samuel. Secondo Lianne, che appare la meno timida, questo è dovuto al fatto che non c’è una buona educazione politica nelle scuole. «Fino ai sedici anni non c’è stato permesso parlare di politica in classe, siamo cresciuti così e questo ha diffuso una ignoranza generale. Tra gli adulti – continua – c’è un approccio fanatico alla politica molto simile al tifo delle squadre di calcio».

Confidano che sono stufi di un sistema bipartitico, vogliono una pluralità che li rappresenti adeguatamente. La situazione è tragica secondo Neve, visto che «i laburisti sono forti ma sono odiati, i nazionalisti sono incapaci e non in grado di fare opposizione e gli altri partiti minori come i verdi e gli arancioni sono praticamente inesistenti».

Il voto diventa una scelta difficile, tanto che Samuel con fare un po’ rassegnato confida che se non ci saranno candidati validi non si preoccuperà di votare nessun partito alle prossime elezioni del 2022. «Purtroppo – afferma Samuel – la nostra generazione ha una brutta concezione della politica, anche se io penso che di per sé sia una cosa positiva, serve a risolvere i problemi della gente. Ma la nostra politica provoca rassegnazione e apatia». I pochi secondi di silenzio vengono interrotti di nuovo da Lianne: «Meno male che ci sono state le proteste studentesche!». Fa riferimento a quelle di dicembre scorso quando «la via che portava al campus era gremita di studenti che chiedevano un chiaro cambiamento politico». Con voce piena di orgoglio afferma: «Abbiamo fatto la nostra parte, altrimenti non sarebbe cambiato niente».

Proprio in quei giorni il Parlamento europeo aveva inviato una delegazione per verificare lo stato di diritto nell’Isola e garantire che non ci fossero interferenze nelle indagini riguardanti l’assassinio di Daphne Caruana Galizia. «L’intervento dell’Unione Europea è stato fondamentale!», spiega Giulia. «Noi abbiamo disperatamente bisogno di aiuto, anche se è stato un po’ tardivo» conclude sistemandosi gli occhiali da vista.

Nel corso degli ultimi anni, la Commissione a guida Juncker ha cercato di non intervenire sulle questioni nazionali, lasciando di fatto l’isola in un limbo che si è rivelato pericolosissimo. «Quando ci dicono che siamo uno stato criminale è la dura e triste verità» dice Matthew alzando le spalle. Questa cosa fa sentire i giovani «umiliati» mentre cresce la paura che ci saranno ripercussioni sul turismo e di conseguenza sull’economia nazionale.

Comunque tra di loro c’è chi denuncia una certa esagerazione da parte della stampa internazionale che ha tentato di cavalcare l’onda degli eventi. Quella nazionale non la considerano, «le tv sono in mano ai partiti», infatti la loro informazione quotidiana viene da giornali e blog indipendenti. Di Daphne ne sanno molto poco, ma quando esce fuori l’argomento le ragazze si animano nel difenderla. «Dio solo sa quanti altri scandali avrebbe scoperto!» dice Lianne alzando il tono di voce. Ma in fin dei conti quello che rimane, secondo Neve, è che: «Siamo conosciuti come lo Stato in cui è stata uccisa una giornalista!».