Dopo la notte di domenica che ha portato in dote l’insperato raggiungimento dei quarti di finale del campionato del mondo (traguardo mai raggiunto dalla squadra nazionale, neppure in epoca sovietica) Mosca si è svegliata stranita e orgogliosa. Puntuale, e non poteva essere diversamente, cala sul match anche il comunicato del Cremlino. “Come tutto il resto del paese il presidente Vladimir Putin ha guardato la partita e tifato per la nostra squadra” ha dichiarato il suo portavoce Dmitry Peskov.

“Purtroppo i suoi impegni gli hanno impedito di essere allo stadio – ha continuato Peskov – ma alla fine della partita ha telefonato al tecnico Stanislav Cherchesov per congratularsi con tutta la squadra per l’incredibile vittoria e con lo stesso tecnico per le scelte tattiche che hanno condotto a tale risultato”. Nell’editoriale di Sport Express il quotidiano di sport più letto in Russia non si sfugge da una certa epica: “Abbiamo chiaramente inteso i nostri punti di forza e le nostre capacità, la nostra missione e i nostri obiettivi in questo mondo del calcio. Abbiamo eretto davanti all’area due mura del Cremlino… abbiamo difeso la porta di Akinfeev, come se fosse Stalingrado. Disciplina, pazienza, dedizione, responsabilità per la causa comune, duro lavoro. Le stesse qualità che, scusateci per il parallelo, hanno aiutato il popolo russo durante i momenti più difficili della storia alla fine hanno trovato il loro riflesso nel calcio. Uno sport che ha in qualche modo sostituito le guerre”.

In effetti le due linee strettissime di difesa costruite dalla squadra russa a fronte dell’indisponente tiki-taka spagnolo, hanno retto bene e sono state pronte a ripartire velocemente all’attacco (seppur in modo impreciso) quando ne se creavano le condizioni. Una squadra, soprattutto, pronta a risalire la china quando, dopo l’autogol iniziale, sembrava che partita seguisse il destino manifesto di uno scontro in cui si affrontavano l’11º e la 70º squadra della classifica FIFA. E pronta ad agguantare il pareggio alla prima occasione utile con il corpulento ma efficace Artem Dzyuba che non a caso saluta ogni suo gol con il saluto militare.

Vittoria “sporca” come spesso accade nelle guerre: durante i supplementari la squadra sembra crollare (e più che Stalingrado sembra di essere i testimoni del più prosaico assalto degli indiani al fortino) e serve allora anche il ruggito dello stadio “Russia! Russia!, per restare a galla.

La roulette dei rigori spinge infine avanti l’orso russo. “Putin ha detto che la cosa principale nello sport è il risultato” ha sostenuto infine di passata il portavoce del Cremlino, a far intendere che, insomma, di gioco poi se ne è visto pochino.

Vittoria del nazionalismo hanno titolato i giornali dell’opposizione. E in effetti dopo la fine dell’incontro la gente ha occupato le piazze delle città con le bandiere tricolori bianche-rosse-blu, cantato fino a tarda notte e consumato fiumi di alcool come vuole la tradizione del paese. Ma è sembrata invece alla stragrande maggioranza degli osservatori, anche stranieri, una festa, forse nazionalista, ma composta anche se non proprio sobria. Nessun lazzo particolare dei russi neppure nei confronti degli affranti tifosi spagnoli (alcuni in lacrime) invitati anzi a consumare alla fine qualche libagione insieme.

Gli stessi tifosi inglesi anche dopo che il loro ministro degli esteri aveva paragonato i mondiali di Russia 2018 con le Olimpiadi naziste del 1936, sono stati finora accolti dappertutto con rispetto e simpatia.

Del resto i russi non sono degli sprovveduti o degli ingenui se proprio in queste due ultime settimane hanno comunque firmato in oltre 3 milioni una petizione contro l’incombente riforma delle pensioni che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile. Segno del saper distinguere il patriottismo dallo sciovinismo nazionalista e l’amore per la propria squadra dalle politiche del governo.