Imbattersi nella vicenda delle trasmissioni radiofoniche in lingua italiana delle emittenti dell’«Est» significa ripercorrere una parte fondamentale della storia europea. Una storia che per quattro decenni ha visto il Vecchio Continente diviso lungo una linea descritta da Winston Churchill, nel 1946: «Da Stettino, nel Baltico, a Trieste nell’Adriatico, una cortina di ferro è scesa attraverso il Continente». L’allora ex primo ministro britannico, appena sconfitto alle elezioni generali per il rinnovo della Camera dei Comuni, aveva pronunciato quelle parole in una conferenza dal titolo Risorse della pace che era stato invitato a tenere al Westminster College di Fulton, nel Missouri. Aveva aggiunto: «Dietro questa linea si trovano tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia».

LASCIAMO STARE VIENNA cui la Storia avrebbe riservato diversa collocazione, ma i nomi delle altre capitali sarebbero diventati presto, dopo la guerra, sinonimo di un mondo diverso e inaccessibile almeno dal punto di vista di noi «occidentali». Un po’ meno Belgrado, forse, che avrebbe preso le distanze dalla sfera d’influenza sovietica. Anch’essa, come le «misteriose» capitali est-europee, ci avrebbe parlato in italiano via radio. Questa è la storia raccontata da Lorenzo Berardi in Radiocronache. Storie delle emittenti italofone d’oltrecortina (Prospero editore, pp. 460, euro 20).

Parliamo di radio di stato, almeno nella maggior parte dei casi, qualcuna clandestina. Ci siamo riferiti subito all’epoca della «Cortina di ferro», ma in effetti le loro trasmissioni nella nostra lingua risalgono a epoche precedenti: agli anni Trenta del secolo scorso, per la precisione. Il tutto grazie all’impegno di centinaia di redattori, tra i quali numerosi nostri connazionali. Così, questa vicenda incrocia quella, altrettanto interessante, dell’emigrazione italiana nei paesi d’oltrecortina. Un’emigrazione politica come ad esempio quella che raggiunse l’allora Cecoslovacchia, composta in parte da ex partigiani, uomini che avevano militato nella Volante Rossa e che erano espatriati con l’aiuto del Pci. Per approfondimenti su questo tema specifico si raccomanda agli interessati la lettura delle opere di Massimo Recchioni – peraltro più volte citato da Berardi – che su tale argomento contiene informazioni particolarmente dettagliate (Ultimi fuochi di Resistenza. Storia di un combattente della Volante Rossa, DeriveApprodi, 2009, Il tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia, DeriveApprodi, 2011).

Il libro di Berardi ricostruisce la storia di queste emittenti nel passaggio dal mondo prebellico a quello bipolare e da questo alla caduta dei regimi del cosiddetto «socialismo reale». Il racconto si staglia quindi sullo sfondo di una vicenda globale che però ha come teatro la «vecchia Europa». Si va quindi dagli esordi di questi ponti costruiti verso l’Italia con notiziari e varie, ai messaggi politici d’oltrecortina. Decenni di trasmissioni che vengono narrati con numerosi riferimenti al quotidiano in termini di vita redazionale e dei rapporti, non sempre facili, tra i redattori italiani e quelli del posto. In termini di livello di integrazione dei primi nei paesi che li ospitavano e del tipo di legame, spesso controverso, mantenuto con la madrepatria.
Radio Budapest, Radio Praga e altre emittenti dell’area, hanno quindi raccontato in italiano i cambiamenti avvenuti dopo l’89 e la vita successiva a essi. Qualcuna delle emittenti raccontate dall’autore continua a esistere e a trasmettere anche in italiano. Le altre sono diventate il ricordo di un’epoca irripetibile.