La decisione di Bruxelles di abbattere i dazi all’importazione per l’olio d’oliva tunisino va accolta come un segno visibile della volontà della Comunità Europea di sostenere il fragile governo tunisino, l’ultimo che ha mantenuto in qualche misura le promesse della Primavera araba.
Sicuramente l’unico governo con una matrice laica ed una pratica democratica, pur con tutti i limiti che conosciamo. Un governo in grande difficoltà da quando l’Isis ha compiuto un efferato attentato al museo Bardo il 18 marzo scorso. Una strage che ha colpito decine di turisti stranieri scesi da una delle tante navi da crociera che facevano sosta a Tunisi e che da quel maledetto giorno non si fermano più ! Due milioni di croceristi. Il 26 giugno dell’anno scorso ancora un altro attentato dell’Isis diretto a colpire una località turistica rinomata a pochi chilometri da Susa, che ha provocato 39 morti e 38 feriti tra i turisti che si stavano godendo il sole sulla meravigliosa spiaggia di Port El-Kantaoui.

Le immagini del sangue sull’arena e dei corpi inermi dei bagnanti hanno fatto il giro del mondo e distrutto il turismo in Tunisia: una perdita di circa 7-8 punti di reddito nazionale, ed ancora di più sul piano dell’occupazione! Un disastro sociale che può tramutarsi in disastro politico, come vorrebbero gli strateghi dell’Isis e chi li finanzia. Non è un caso che l’Isis abbia colpito così duramente solo la Tunisia rispetto agli altri paesi del Maghreb.

Contro questa decisione del Parlamento europeo, i nostri olivicoltori guidati dalla Coldiretti, sono scesi in piazza per protestare in diverse località del Mezzogiorno. Le motivazioni sono apparentemente condivisibili: non vogliono, dicono, che si moltiplichino le frodi e mettano definitivamente in crisi il settore. Peccato che, come dimostrano diverse inchieste, le frodi che colpiscono l’olio d’oliva sono spesso organizzate dagli stessi produttori e venditori italiani, anche da alcuni rinomati brand.
L’assurdo di questa protesta è che noi fino al 2014 importavamo mediamente dalla Tunisia circa 25 mila tonnellate di olio d’oliva l’anno, mentre ne importavamo più del doppio dalla Grecia e più di 500 mila dalla Spagna, senza che ci fosse nessuna protesta clamorosa nei confronti dei nostri cugini spagnoli. Ed è proprio con alcuni produttori spagnoli che sono state organizzate le peggiori falsificazioni, compresa quella che porta alla sbiancatura dell’olio di sansa, che viene poi venduto come extravergine.

È vero che nel 2015 le importazioni dalla Grecia sono aumentate di cinque volte e di sette volte dalla Tunisia, in parte sostituendo le importazioni dalla Spagna, ma, soprattutto, il 2015 ha rappresentato per il comparto un record produttivo con 3 miliardi di euro di fatturato realizzato per metà con le esportazioni.
Questa protesta di una parte degli agricoltori italiani fa il paio con la scelta di una gran parte dei europarlamentari del Sud Europa di votare contro questo provvedimento. Qui siamo di fronte alla cecità assoluta, non perdonabile a chi esercita quel ruolo. Ma, mi domando, che cosa vogliamo che facciano i tunisini: li respingiamo come migranti, non vogliamo la concorrenza dei pochi prodotti che possono esportare, non andiamo più a visitare il loro paese perché abbiamo paura… vogliamo che entrino tutti a far parte dell’Isis?

Ma, non c’è solo dello stupido egoismo, c’è anche una grande ignoranza. La domanda di olio d’oliva è in crescita su scala mondiale da una ventina d’anni, grazie al mutamento nei consumi alimentari del ceto medio dei paesi emergenti (Cina, India, ecc). Invece di ricorrere ai vecchi arnesi del protezionismo o di farsi la concorrenza al ribasso, come avviene nei mercati non regolati, si potrebbero organizzare dei Consorzi Mediterranei di produttori – di olio d’oliva, arance, ecc. – ovvero di quei prodotti agricoli che sono presenti in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo, come da anni sostiene il Forum Italo-tunisino e la Sem. Consorzi con un marchio mediterraneo che offra garanzie di qualità e tracciabilità al consumatore, sul modello del fair trade che sta continuando a crescere malgrado la crisi economica, e che può essere esportato in tutto il mondo, vista la crescente richiesta di alcuni prodotti tipici dell’agricoltura mediterranea. Magari prima che la Cina, che ha piantato centinaia di migliaia di ulivi, invada i nostri mercati mentre noi facciamo la guerra ai nostri parenti poveri.

I paesi dell’Europa del Sud o saranno capaci di creare uno spazio comune mediterraneo, di mettere insieme le forze sociali ed economiche, di avere una strategia concreta di pace e cooperazione tra tutti i popoli che si affacciano su questo bacino, o saranno stritolati come un sandwich tra i dictat/ricatti dell’austerity teutonica ed i flussi di migranti e merci provenienti dai paesi del sud.