Quest’anno, tra le conseguenze nefaste del coronavirus, l’Italia intera perderà una testimonianza forte della sua cultura profonda, quella costituita dalle Passioni della settimana santa. Tradizioni diversissime, che nonostante tutta la «modernizzazione» continuano a restare vive da nord a sud. Dalle «casse» lignee policrome e intagliate come stazioni della Via crucis su cui cala, la notte del sabato, il Cristo risorto nell’omonimo Oratorio a Savona, al Miserere che fa tenere il fiato a una folla sterminata nella notte di Sessa Aurunca, ai Misteri di Trapani un tempo in grado di gareggiare con quelli di Siviglia, fino alle variazioni strabilianti dei Tenores di Bosa in Sardegna. Quasi una «spina dorsale», con altre decine e decine di articolazioni ovunque, della memoria culturale della penisola, per quanto tenuta oggi «sotto traccia», e pudicamente riservata ai partecipanti che ne sono decisamente protagonisti, e non semplici figuranti.

DI QUELLA VIBRANTE tradizione, stasera tutti potremo avere un assaggio grazie a La via della Croce, una breve quanto intensa «visione» filmata, in onda su Tv2000 (canale 28 del dt, alle 23.50, dopo una puntata del Gesù di Zeffirelli). L’ha girata Francesco De Melis, che ha composto anche la colonna sonora per pianoforte, flauti di Pan, archi e ciaramelle. Ha maneggiato lui stesso la macchina da presa, in quel linguaggio da lui elaborato che è una sorta di corpo a corpo con le più profonde manifestazioni popolari di tradizione del nostro paese. Lo sa bene chi ha avuto modo di ammirare, fino a poche settimane fa nella chiesa milanese di San Sisto, la mostra Con straordinario trasporto, nel cui «affresco digitale» la cinepresa andava all’unisono con il pulsare del respiro dei portatori di macchine a spalla devozionali, quelle che l’Unesco ha riconosciuto come «patrimonio dell’umanità».

La Passione di questo short film, prodotto dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del Mibact, sulla scia dell’attività di Patrizia Nardi, responsabile del progetto Unesco, è quella della performance che Europassione per l’Italia ha realizzato lo scorso anno a Matera, capitale europea della cultura. E nonostante la rappresentazione mostri ogni tanto il limite di una vera «messa in scena» drammatizzata con un forse eccessivo spirito mimetico, e l’interpretativo rischi il didascalico, l’effetto della visione è piuttosto forte.

Quasi che la camera riesca a frugare e quindi liberare sentimenti compressi dentro, o dietro, lo spettacolo bien fait. Matera del resto su questo versante non si è risparmiata, ospitando sopra i suoi Sassi anche un’altra Passione, quella dello svizzero Milo Rau (che dovrebbe farne anche un film, contando per la sua lettura «di denuncia» sul fatto che la città è stata set anche del Vangelo pasoliniano e della Passione pulp di Mel Gibson). Sulla operazione di Rau per altro, «schematica» e facilmente divulgativa come gran parte del suo teatro, la stessa Tv2000 ha dedicato un circostanziato servizio nei giorni scorsi.

NELLA «VIA DELLA CROCE» di De Melis è molto interessante come le emozioni siano suscitate dalla originalità del rapporto che si stabilisce, a livello profondo, tra la storia rappresentata teatralmente, e lo scavo incessante della macchina da presa, dove i ricordi del catechismo di antica memoria conquistano una fisicità quasi imbarazzante per i valori in gioco, e per la ricaduta su valori e poteri di ogni società, viaggio nella perdizione e nell’abisso, da cui la fede, o la ragione, o meglio ancora la loro combinazione, fanno deflagrare una tensione positiva. Come erano del resto tutti i riti dell’antica religiosità, quel patrimonio di tradizioni , che pure facevano sopravvivere e sperare strati amplissimi di popolazione.

Credenze, cerimonie e rituali che la chiesa cattolica si rese conto di non poter «estirpare» dalla tradizione popolare pagana, e riuscì piuttosto, con un vero capolavoro gesuitico, a inglobare lungo i secoli, nei riti di santa madre chiesa. Ha avuto «miglior» successo la «modernità» capitalista: gli anni del boom, gli stessi in cui Ernesto De Martino indagava e catalogava tutte le manifestazioni sociali di quella religiosità popolare (e Alan Lomax e Diego Carpitella ne registravano la voce e il suono) hanno condannato quei riti e quelle cerimonie, con tutte le loro implicazioni esistenziali, al disprezzo e alla vergogna di un passato da cancellare. Forse, quel che resta andrebbe proprio riletto e approfondito, usando appunto linguaggi, strumentazioni e tecnologie che oggi possediamo.