Segnali della riapertura dei teatri non se ne colgono e sul sito web di ITsART, la vituperata Netflix della cultura voluta dal Ministro Franceschini, campeggia la scritta «Stiamo arrivando». Diversi spazi, tuttavia, si sono organizzati per ospitare gli artisti in residenza per permettere loro di portare avanti la creazione. È il caso del Teatro India di Roma, dove ormai ogni mese viene annunciato un nuovo ciclo di compagnie che utilizzano gli spazi della ex fabbrica quotidianamente. Tra le proposte c’è da notare – nella scarsità di scambi che stiamo vivendo – che si è appena concluso un programma a cura del Centro Dramatico Nacional di Spagna, con l’accoglienza di quattro drammaturghi spagnoli che hanno incontrato artisti del panorama romano come Deflorian/Tagliarini e Lucia Calamaro.

È proprio quest’ultima, attualmente, a lavorare all’India al suo nuovo spettacolo Darwin inconsolabile (Un pezzo per anime in pena). Abbiamo intercettato la drammaturga, regista e attrice durante i primissimi passi di questo progetto, una produzione di Sardegna Teatro il cui debutto è previsto per il 2 luglio al Festival dei due mondi di Spoleto, nella prima edizione che vedrà Monique Veaute alla direzione artistica. Sappiamo che si tratterà di «un timido tentativo, affabulato e confuso, di avvicinarsi pressapocamente alla vertigine dei mondi interspecie». Un’apertura al di là dell’umano perché forse ci serve una vita tra il personale e l’impersonale, come scriveva Calamaro ne L’origine del mondo: non ci bastiamo, ci stiamo stretti, o forse abbiamo occupato troppo spazio.

Il sociologo Duvignaud, con cui lei ha studiato, sosteneva che è durante i periodi di crisi – ossia quando i paradigmi vengono meno – che le possibilità per la creazione artistica aumentano. Pensa che questa chiusura prolungata dei teatri porterà nuove energie o, al contrario, ad un ripiegamento del settore su se stesso?
Avendo dismesso la pretesa di teorizzare il mondo parecchi anni fa, e quindi di generalizzare il mio infimo punto di vista, personalmente credo che la scossa che ha avuto il mondo dello spettacolo dal vivo non possa che essere terriccio di un mischione di fioriture quantomeno interessanti. Continuare a fare finta che non sia successo niente sarebbe davvero una mancanza, una forma di ottusità: c’è un cambio in atto ma non so dire come e dove andrà. Dubito di tutto. E oscillo tra due moniti tra loro contraddittori : «Rifiutate ogni conforto» e « rimanete abbracciati».

La formazione dei giovani artisti è per lei un punto fermo, una pratica che spesso svolge in spazi non istituzionali come il fu Rialto o il letteralmente underground Fivizzano27. Cosa significa per lei insegnare e qual è il ruolo di queste realtà nel suo percorso?
Ci sono certe giornate non qualunque e certi incontri particolari che marcano, entrambi, un’esistenza. Solo perché sono punti di inflessione, di cambio, di maturazione del proprio pensiero e del modo in cui ci vediamo stare al mondo. Quando insegno, se si può chiamare così quello che faccio, io spero di ottenere quell’effetto lì: scombussolare, creare dentro di te un nuovo orientamento, un nuovo modo di vedere e organizzare i tuoi mondi, farti soprattutto identificare il meglio che ti abita. La vecchia maieutica. È un processo ambizioso, ma quando riesce è foriero di grazia. Rialto è casa. Come artista ci sono nata e cresciuta. Fivizzano27 è il luogo della trasmissione: se a Rialto ho capito due o tre cose, sarà il caso di passarle a qualcuno.

In «Si nota all’imbrunire» c’è un accenno a Darwin, alla sua tristezza nel vedere l’umanità peggiorare invece che migliorare, al contrario di quanto aveva teorizzato. Sarà una traccia presente in «Darwin inconsolabile», insieme all’approccio ai mondi interspecie? Ci può anticipare qualcosa in più su questo nuovo lavoro?
Ho iniziato a provare Darwin inconsolabile 3 giorni fa, e ho davanti a me un lungo periodo di ricerca e di riflessione, da sola e con gli attori. Durante questi mesi lo spettacolo cambierà varie volte forma e orientamento. Parlarne ora sarebbe parlare di una cosa che ancora non so, perché tutto il processo creativo per me consiste in capirla. Ci vuole tempo e pazienza. Mi riservo di rispondere un po’ più in là.

Cosa l’ha spinta ad indagare la relazione con le specie altre e come intende questo rapporto?
Che la vita vera non basti, per un artista, è un’ evidenza. Rispetto a questo movimento generale, arrivare alla conclusione che l’essere umano da solo sia insufficiente a se stesso, è solo un’ apertura d’obbligo. Almeno lo è per una traiettoria esistenziale tutta orientata a un altrove che poi è un altrui.

Lo scorso novembre l’editore Alessandro Laterza sostenne di non conoscere scrittrici italiane contemporanee degne di questa definizione. Cosa ha pensato leggendo quelle dichiarazioni? Ci sono autrici connazionali del nostro presente che lei segue e stima?
È un giudizio severo. Non seguo le dichiarazioni degli editori. Penso a Chiara Valerio, a Viola di Grado, a Veronica Raimo, anche a Carmen Barbieri…se Alessandro Laterza non pensa a nessuno, un po’ mi dispiace per lui.

Nei primissimi giorni di isolamento a marzo lei pubblicò un poemetto, una critica a quei drammaturghi che avrebbero tentato di trarre facile ispirazione dalla situazione emergenziale. Tralasciando le polemiche che sono seguite, dopo un anno di pandemia lo riscriverebbe allo stesso modo? Magari aggiungerebbe una strofa?
Per carità. Si ricorda di quella dichiarazione di Mao riportata da Malraux: «Sono solo. Con le masse»? Ecco. Questo.