Il Palazzo d’inverno non ancora. Ma il preserale di Rai uno, l’«Eredità», forse è stato conquistato.

Grazie all’impegno della comunità palestinese di Roma e del Lazio e almeno un po’ pure de il manifesto.

Si era sollevata, infatti, la vicenda incresciosa del quesito posto nella trasmissione dello scorso 21 maggio sulla capitale di Israele (Tel Aviv la giusta risposta della concorrente, Gerusalemme secondo l’impropria correzione del conduttore).

Sit in davanti alla Rai, proteste e lettere alla commissione parlamentare di vigilanza.

Una prima replica venne data dal direttore della rete Stefano Coletta, con missiva inviata all’ambasciatrice Abeer Odeh: uno scritto alquanto difensivo e imbarazzato, tutt’altro che risolutivo, vista la difesa d’ufficio degli autori dei testi.

Nella puntata di questa sera sarebbe prevista, finalmente, una correzione esplicita da parte di Flavio Insinna.

In apertura di programma, chiarendo che non contano i desiderata unilaterali, bensì gli atti ufficiali riconosciuti dalle autorità internazionali.

Sembra il minimo, ma è un risultato utile ad una causa così negletta nel e dal dibattito pubblico. È ormai in uso, infatti, l’accostamento nell’informazione di un popolo glorioso a disordini, violenza, persino terrorismo.

Eppure, la Palestina è riconosciuta nella sua sovranità statuale da diversi paesi, evocata da diverse risoluzioni delle Nazioni unite, componente con il rango di osservatore dell’Unesco.

Ma non è sufficiente, come si è visto, neppure per rispettare la storia e la geografia.

Quell’errore è figlio di un certo senso comune propagandistico, impresso da Benjamin Netanyahu insieme a Donald Trump. Gerusalemme capitale altro non è che il vessillo simbolico dell’assalto finale voluto dalla politica coloniale e di apartheid dell’attuale governo israeliano.

Va sempre chiarito che tutto ciò non intende offendere il popolo ebraico, ma -se mai- polemizzare con una rilevante parte della sua rappresentanza politica e istituzionale.

Le guerre della modernità vengono condotte anche attraverso i media e cambiare la capitale rientra in simile ossessivo disegno.

Che sia, almeno, un monito per il servizio pubblico a mantenere maggiore rigore sulle questioni internazionali, oggi funestate da una miriade di focolai bellicosi e da una nuova guerra fredda.

Per preparare l’assalto (?!) alla Cina e per tentare di rivincere le elezioni, Donald Trump ha bisogno di alleati fedeli e alfieri indefessi della riscossa imperialista. Israele è fondamentale per la Casa bianca e il macabro gioco val bene una Palestina ulteriormente calpestata. Meglio, ridotta ad una infinitesimale puntina del mappamondo.

Ecco perché le sacrosante proteste contro uno strafalcione così emblematico devono trovare risposta: in un «errata corrige» e in un mutamento di approccio.

Dell’argomento si occuperà, augurabilmente, la stessa commissione parlamentare di vigilanza, cui sono state inviate varie note al riguardo.

Tra l’altro, sembra quasi che nelle parole di Flavio Insinna stesse una involontaria riproposizione di un imperdibile frammento della storia del cinema italiano.

«Guglielmo il dentone», memorabile episodio del film degli anni Sessanta «I complessi» magistralmente interpretato da Alberto Sordi, sconfisse – nel film s’intende – la commissione di concorso della Rai – prevenuta e ostile per la prominente dentatura del geniale concorrente – proprio correggendo gli occhiuti esaminatori sul fiume Yarmuk, che allora non passava in Israele come riteneva la giuria.

Aveva, dunque, ragione Alberto Sordi . Ora, ahinoi, il dentone sarebbe stato bocciato.

Di annessione in annessione neanche i fiumi hanno pace.