Missione fallita. Il ministro Tria dovrà riferire ai colleghi che in Lussemburgo non c’è stata neppure una minima schiarita. Al contrario, l’assedio si è fatto più stringente. La nuova tempistica è da ultimatum secco: pugno di ferro senza guanto di velluto. Una settimana per convincere Bruxelles a fermare la macchina da guerra della procedura per debito. Poi sarà tardi anche se bisognerà aspettare la riunione Ecofin del 9 luglio. La giustificazione per l’improvviso irrigidimento è risibile: la commissione ha bisogno di tempo per studiare eventuali nuovi dati.

Il problema è che quei nuovi dati non possono esserci e Tria lo ha detto al commissario Moscovici nell’incontro di ieri: «Poiché siamo a metà anno non ci saranno documenti nuovi da far uscire». Il ministro però conferma che di manovra correttiva non c’è bisogno e la stessa cosa ripete, da Roma, il premier. La lettera che sta scrivendo ai commissari per chiarire ancora una volta le ragioni del governo italiano non è ancora pronta. Questione di limature, assicura palazzo Chigi, sarà spedita presto. Non andrà però oltre le cifre già illustrate da Tria. Alla commissione che chiede «fatti», Conte risponde che «i fatti sono scritti nei nostri bilanci, nei conti e nelle nostre entrate». Più in là di così né il premier né il ministro possono spingersi. Per quanto cerchino effettivamente di smarcarsi dai partiti della maggioranza, non possono comunque decidere da soli. E i partiti di manovra correttiva non vogliono sentir parlare.

Invece proprio quella manovra, per l’Italia inutile, per Bruxelles necessaria, limitata dal punto di vista delle cifre, determinante sul piano politico, è una delle due condizioni che l’Italia deve accettare di qui a una settimana se vuole evitare la procedura. L’altra è chiarire subito non solo che la Flat Tax non verrà fatta in deficit, ma corredare il benintenzionato impegno con una spiegazione sul come si farà a raggiungere l’obiettivo e sul come Roma intenda muoversi per evitare l’aumento dell’Iva. Lo dicono, nella sostanza suonando il medesimo spartito, Moscovici e Dombrovskis. E lo conferma l’Eurogruppo, per bocca della colomba portoghese Centeno, il presidente: «L’Eurogruppo sostiene la richiesta di prendere le misure necessarie per rispettare le regole di bilancio». Nessuno spiraglio. L’Italia non potrebbe essere più isolata.

Il prossimo appuntamento chiave è quello di Conte con il presidente della Commissione Juncker al vertice europeo convocato per giovedì e venerdì prossimi. Nessun dubbio su cosa dirà Juncker. L’unico interrogativo è se l’Italia si presenterà offrendo qualcosa in più. Non sono queste le intenzioni di Salvini, tornato ai toni bellici: «Se fosse un ragionamento economico la Ue ci dovrebbe solo ringraziare e aiutare. Se invece ci fossero altre spinte, come punire l’unico governo fuori linea, allora faremmo altre considerazioni». Ma a contrariare Bruxelles, ancor più delle parole del leghista, saranno quelle di Paolo Savona, nel suo primo discorso da presidente Consob: «Un indebitamento del 200% rispetto al Pil non contrasta con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica». Impossibile immaginare posizione più distante da quelle della commissione.
La fibrillazione fa saltare i nervi a Di Maio: «Se Salvini vuole il rimpasto lo chieda». Ma stanare Salvini non è facile. Rinvia la palla ai 5S, vedessero loro se ritengono opportuna qualche sostituzione. Ma qualcosa chiede: poteri decisionali su tutti i dossier incandescenti. Dall’Ilva al ponte Morandi a Alitalia. Passando per la Tav.