Il presidente del Consiglio ieri ha dovuto rispondere all’ennesima bacchettata dell’Europa. Sono anni che il governo italiano ha un solo obiettivo: fare i compiti impartiti dall’asse Berlino-Bruxelles. E’ stato questo l’unico vero programma scritto nero su bianco nella famosa letterina all’Italia della commissione Ue che decretò la fine dell’ultimo governo Berlusconi. Da allora le larghe intese, prima con Monti e poi con Letta, hanno avuto come missione fondante la messa in atto dell’austerity che sull’altare dei conti in ordine sacrifica welfare e lavoro. Per questo si è battuto il capo dello stato che ha dettato questa linea ai governi da lui fortemente voluti e sostenuti negli ultimi tre anni. Eppure l’austerità per l’Europa non è mai abbastanza.

 

Ieri dalle pagine de la Repubblica il commissario Ue agli affari economici Olli Rehn – che si è appena candidato alla presidenza europea – ha nuovamente bocciato l’Italia: “Deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito e non lo sta facendo”. Rehn, inoltre, si è detto scettico dei risultati promessi con le privatizzazioni e la spending review. Ciò detto, Napolitano e Letta non hanno proprio potuto fare a meno di mostrare agli italiani che, almeno a parole, sanno anche alzare la testa. Il presidente della Repubblica, in visita in Croazia, prima ha difeso il governo – “possiamo essere soddisfatti e orgogliosi dello sforzo fatto per risanare la finanza pubblica” – poi ha criticato l’Europa colpevole di avere “imposto politiche di contenimento del debito che hanno prodotto un effetto recessivo e crescente disoccupazione soprattutto giovanile”. Ancora più dure le parole di Letta: “La ripresa va aiutata, non soffocata. Al commissario dico che i nostri conti sono in ordine, la nostra politica economica è equilibrata. Il Commissario deve essere garante dei trattati e non può permettersi di esprimere il concetto di scetticismo, altrimenti potrebbe trovarsi un parlamento europeo pieno di euroscettici”.

E poi quasi un avvertimento: “Sono europeista convinto, ma voglio mettere in guardia rispetto al rischio che l’Europa non è scontata, non è data per sempre e secondo me è profondamente a rischio. O nel 2014 farà un passo in avanti o si avviterà indietro”.

Stando a queste dichiarazioni sembrerebbe scoppiato uno scontro senza precedenti. Ma è in realtà è più simile a una scaramuccia. Difficile infatti immaginare che basti un’intervista per incrinare l’asse portante tra Roma e Bruxelles rappresentato dal governo Letta. Il primo a gettare acqua sul fuoco è stato il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni. Da New York ha addirittura definito l’intervista di Rehn una “non-notizia” perché ribadirebbe “solo il parere espresso dalla Ue 15 giorni fa”. Poi si è affrettato a rassicurare: “Non c’è stata nessuna richiesta di misure correttive”.

 

Forza Italia non si è lasciata scappare l’occasione di attaccare la sua ex-maggioranza di governo. Brunetta ha chiesto ancora una volta le dimissioni di Saccomani e ha invitato Letta ad accettare le critiche di Rehn: “I giudizi dell’Ue o valgono sempre o non valgono mai. Se valevano quando la Commissione europea bacchettava Berlusconi, devono valere anche oggi che la Commissione bacchetta Letta-Saccomanni”. Bersani, invece, ha provato a far ricadere proprio su Berlusconi la responsabilità del giudizio negativo del Commissario: “Olli Rehn, stando ai patti che sono stati sottoscritti da Berlusconi e Tremonti, non ha mica torto. Il problema è che quei patti sono un disastro. Adesso ci vuole flessibilità. Se no Olli Rehn e compagnia ci chiedono il suicidio e al suicidio nessuno è tenuto”. E qui si misura la situazione paradossale di un governo nato per soddisfare l’Europa e figlio del patto con Berlusconi, per onorare il quale ha prodotto come unico risultato l’abolizione (ancora incompleta) dell’Imu, e ora subisce contemporaneamente le critiche degli ex alleati e dell’Ue. Una morsa micidiale che mostra l’inconcludenza delle piccole intese di Letta e strangola gli italiani alle prese con una crisi economica e politica senza fine.