«Il governo più a destra della storia di Israele si sta dissolvendo perché non è abbastanza di destra». Con poche parole affidate a un tweet la giornalista Mairav Zonszein ha racchiuso alla perfezione il motivo della improvvisa crisi dell’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu. Crisi che, con ogni probabilità, porterà ad anticipare ai primi mesi del 2019 le elezioni politiche in Israele, previste ufficialmente il prossimo anno in autunno. A sgretolare le fondamenta del governo nazionalista e religioso al potere è stata la decisione del premier di bloccare la nuova guerra contro Gaza e di optare per il cessate il fuoco (almeno per ora) proposto dall’Egitto e già accettato da Hamas e altre organizzazioni palestinesi. Un passo condannato dalle migliaia di israeliani nei centri abitati adiacenti alla Striscia di Gaza che invocano a gran voce dalla scorsa estate una nuova ampia offensiva militare per mettere fine, affermano, «alla minaccia dei razzi palestinesi». Strade bloccate, copertoni date alle fiamme, slogan contro Netanyahu che hanno spinto un politico astuto come il ministro della difesa e superfalco della destra Avigdor Lieberman a dare le dimissioni, in segno di protesta contro quella che ha definito un cedimento al terrorismo e a mettersi nella condizione ideale per raccogliere consensi popolari in vista di un possibile voto anticipato al quale ha fatto subito appello. «Quello che è successo, il cessate il fuoco, è stato una resa al terrorismo. Non c’è altro significato», ha detto Lieberman aggiungendo di aver già avuto contrasti con Netanyahu e tra questi ha citato «il mancato sgombero del villaggio beduino di Khan al Ahmar, il combustibile del Qatar per Gaza e il trasferimento ad Hamas di 15 milioni di dollari (sempre da parte di Doha,ndr)». La pressione politica è salita subito. Il ministro Naftali Bennett, leader di Casa ebraica (destra religiosa e nazionalista) determinante per la stabilità della maggioranza, pretende il ministero della difesa altrimenti, minaccia, abbandonerà il governo.

Netanyahu ha provato a motivare la decisione presa l’altro giorno. «Un leader – ha detto – deve saper prendere nei momenti di emergenza decisioni difficili, anche contro il parere del popolo…Sento le voci che vengono dagli abitanti del sud, le loro parole mi arrivano al cuore ma non posso spartire con loro il quadro generale della sicurezza generale di Israele». Ha quindi provato di far apparire la sua scelta come una vittoria affermando che Hamas e i palestinesi «ci hanno pregato per un cessate il fuoco e loro sanno la ragione». Frasi che non hanno fatto presa sull’opinione pubblica e Netanyahu si trova ora in una posizione scomoda, in cui paradossalmente rischia di apparire troppo “moderato” per poter guidare, come fa dal 2009, la destra e il paese. Per questo appaiono prematuri i festeggiamenti organizzati da Hamas per celebrare la “vittoria” militare e politica su Israele. «Le dimissioni del ministro Lieberman sono un riconoscimento della sua sconfitta per mano della resistenza palestinese», ha detto compiaciuto il portavoce del movimento islamico Sami Abu Zuhri commentando le manifestazioni di giubilo che perdurano a Gaza city e in altre città di Gaza dall’inizio del cessate il fuoco. Zuhri dovrebbe tenere in conto che, con la campagna elettorale alle porte, tutti i leader politici israeliani andranno a caccia di consensi e voti e Netanyahu, in modo da apparire più duro con i palestinesi, tra qualche settimana potrebbe dare il via alla guerra contro Gaza che due giorni fa ha congelato. I carri armati non si sono spostati, circondano ancora Gaza e la Marina militare ieri ha ucciso un giovane pescatore palestinese che si era avvicinato “troppo” ai limiti di pesca imposti da Israele.