«L’improvvisa accelerazione che ebbe l’esecuzione del dottore Borsellino» fu determinata «dai segnali di disponibilità al dialogo – ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci – pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D’Amelio».

E’ quanto si legge nelle motivazioni del processo sulla trattativa Stato-mafia conclusosi il 20 aprile scorso con la condanna, fra gli altri, del generale dei carabinieri Mario Mori, dell’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri e di Massimo Ciancimino.

Per i giudici «non vi è dubbio» che i contatti fra Mori e Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, «potevano essere percepiti sal boss Salvatore Riina come ulteriori segnali di cedimento dello Stato e forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato».

Per i giudici, inoltre, un ruolo importante lo avrebbe svolto anche Marcello Dell’Utri.

«Con l’apertura alle esigenze dell’associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell’Utri nella sua funziona di intermediario dell’imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994 – è scritto nelle motivazioni -, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992».