Fico l’esploratore è atteso per il pomeriggio al Quirinale. Potrebbe chiedere un rinvio ma anche in quel caso riferirebbe a Mattarella e nel corso del colloquio chiederebbe un paio di giorni in più. Non oltre. Il presidente ha fretta, la paralisi deve finire. Auspica di poter assegnare l’incarico a Giuseppe Conte già domani e di avere in mano la lista dei ministri per venerdì. Ma della composizione del governo, rispettoso come è dei confini istituzionali, non intende far parola con il presidente della Camera. Ne parlerà solo con l’incaricato, se ci sarà.

L’AUSPICIO DI CHIUDERE presto è condiviso da Matteo Renzi. Si augura entro la settimana «un governo all’altezza», composto da ministri «capaci e meritevoli». Un modo esplicito per chiarire che i programmi sono importanti e vanno messi nero su bianco prima dell’incarico, ma la definizione della squadra, la divisione dei ministeri e non solo di quelli, è anche più importante.

L’ostacolo vero è lì in quel non-tavolo, nella trattativa segreta e silenziosa che procede parallela a quella vistosa e rumorosa di palazzo Chigi. È una mediazione affidata al telefono, senza vertici dei leader che attirerebbero solo sgradita attenzione e che, senza un organigramma predefinito, sarebbero solo controproducenti. Se ne occupano Ettore Rosato per Iv, Dario Franceschini per il Pd, Vito Crimi per i 5S, Roberto Speranza per LeU. Solo che intorno a quel tavolo virtuale le seggiole sono cinque, non quattro, perché Conte gioca in proprio e vuole la sua parte, il che complica tutto.

DI CERTO C’È SOLO la decapitazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, probabilmente sostituito dal dem Andrea Orlando. Su quel nome nessuno si augurava di poter resistere, neppure i 5S. Ma per il resto il premier mira a conservare la spina dorsale del suo governo e del suo sistema di governance, con la conferma delle postazioni chiave o con avvicendamenti orchestrati da lui.

L’Economia resterebbe a Gualtieri, blindato in modo definitivo ieri da Zingaretti, l’Europa ad Amendola, la Sanità a Speranza, l’Istruzione a Azzolina. Patuanelli lascerebbe lo Sviluppo, probabilmente per prendere il posto di Fraccaro come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma al suo posto Conte vuole mettere Arcuri e a un altro fedelissimo, il 5STurco, andrebbe il Sud.

Intoccabili anche altre postazioni chiave assediate da Renzi: la delega di Benassi ai servizi segreti, le presidenze di Inps e Anpal. I renziani otterrebbero gli Interni ma il solo varco sul fronte della gestione del Recovery potrebbero essere le Infrastrutture, scorporate per far posto a Maria Elena Boschi. Ma anche questa è un’ipotesi tutt’altro che accettata da Conte e dai 5 Stelle.

A PERDERE LA POLTRONA sarebbero le ministre che il premier era pronto a sacrificare già da tempo. La dem Paola De Micheli, al cui posto dovrebbe andare Delrio, la 5S Nunzia Catalfo, non perché non abbia lavorato bene ma perché considerata troppo «di sinistra», con in più Giuseppe Provenzano. Esclusi poi i vicepremier, ipotesi che Conte ha sempre contrastato perché limiterebbero il suo ruolo.

A conti fatti sarebbe quel rimpasto che, pur controvoglia, il premier si era già rassegnato a concedere. «Questo non è un Conte ter, è un Conte bis bis», sibilano nel quartier generale di Iv, inviperiti anche per la resistenza degli eventuali alleati a mettere giù nero su bianco l’accordo programmatico senza aspettare l’incarico. «Di questo passo mercoledì c’è un governo istituzionale», profetizzano.

NEPPURE LA LISTA dei ministri, pur fondamentale, è davvero il cuore del problema. La nota dolente, al tavolo di palazzo Chigi come nei conciliaboli telefonici sui ministri, è nella disposizione opposta in materia di continuità. Renzi esige una cesura, segnali vistosi e tangibili di discontinuità.

Conte e gli alleati sono disposti a ritocchi e cambiamenti ma senza mettere in discussione una continuità a cui tengono tutti ma vitale soprattutto per i 5S che, in caso contrario, temono la deflagrazione interna. A tutto questo si aggiunge l’eterno il duello tra Renzi e Conte. Il premier ingoia a malincuore una sconfitta sul piano dell’immagine, ma non ha nessuna intenzione di renderla anche sostanziale. Renzi è consapevole di essere vincente solo nella facciata: senza la cacciata di Conte si sentirebbe comunque sconfitto.

«LA TRATTATIVA NON è ancora fallita ma a questo punto è difficilissima», sosteneva ieri sera un ufficiale renziano. Il responso, salvo proroghe, arriverà oggi. Ma senza l’intesa con Renzi il presidente è deciso a passare a ipotesi diverse da quella del governo politico. La partita dei responsabili, per il Colle, è chiusa.