Luc Boltanski è una delle figure più interessanti della sociologia contemporanea, capace di coniugare il gusto della ricerca empirica con la capacità di proporre nuove griglie analitiche e ipotesi interpretative nella prospettiva di un sapere critico all’altezza delle mutazioni del presente. Allievo di Pierre Bourdieu, nel corso degli anni ha definito un proprio percorso di ricerca originale attraverso una serie di opere, spesso scritte in coppia con altri autori. In proposito, si può ricordare De la justification (nato dalla collaborazione con l’economista Laurent Thévenot e mai tradotto in Italia), che può essere visto come il manifesto teorico della sua produzione.

SI TRATTA DI UN VOLUME incentrato sull’analisi dei differenti criteri di «valore», che nei diversi periodi storici, stabiliscono lo statuto di «grandi» all’interno delle differenti «città», intese non in senso geografico ma normativo. A partire da tale paradigma si svilupperà la sua opera forse più nota, Il nuovo spirito del capitalismo (scritto insieme a Ève Chiapello, Mimesis 2014) in cui, rinnovando il gesto weberiano, ci si interrogava sullo spirito del capitalismo contemporaneo e lo si individuava tramite il modello di una «città per progetti» i cui criteri di «grandezza» (flessibilità, anticonformismo, fluidità, mobilità, creatività) apparivano antitetici rispetto a quelli della «città industriale» fordista. Il quadro interpretativo generale era quello di un capitalismo che, a fronte della crisi di legittimità degli anni Sessanta e Settanta, avrebbe riacquisito vigore a partire dall’incorporazione e dalla messa al lavoro di quella stessa critica, in particolare quella «artistica», che aveva alimentato i cicli di lotte e contestazione sviluppatisi a partire dal 1968.

Il nuovo spirito del capitalismo trova un’ideale prosecuzione in Arricchimento. Una critica della merce, scritto insieme ad Arnaud Esquerre, recentemente proposto da il Mulino (pp. 583, euro 38). Al centro dell’indagine si trova sempre la specificità del capitalismo contemporaneo, ma in questo caso sondata dal punto di vista non dello «spirito» degli attori e dei loro modelli di giustificazione ma dello statuto delle cose e dalla loro circolazione come merci.

PUNTO DI PARTENZA dell’analisi è sempre il passaggio che conduce al superamento della crisi, di legittimità ma anche, e soprattutto, di valorizzazione del capitalismo fordista. In quella congiuntura, un profondo processo di ristrutturazione esternalizza verso paesi a basso salario la produzione di beni standard, ristabilendo i differenziali di profitto. Ma non solo. Nei paesi a capitalismo avanzato, la deindustrializzazione, secondo Boltanski ed Esquerre, si accompagna a un possente sviluppo di altre modalità di valorizzazione, che vengono stilizzate nelle figure della collezione, della moda e dell’attivo. L’immagine paradigmatica di tale mutamento è quella delle architetture industriali che private di funzioni produttive si trasformano in musei, atelier o luoghi per eventi vari, con parallelo sviluppo nei territori circostanti del turismo, di «economie dell’arricchimento» che traggono profitto «dall’autenticità» dei siti e dei loro prodotti o dagli «attivi» della rendita immobiliare. Il lusso da ambito tutto sommato marginale, diviene settore chiave dell’economia, con la formazione di grandi conglomerati che concentrano marchi e si rivolgono a un mercato non di massa ma di élite, approfittando del progressivo incremento, a livello globale, della concentrazione delle ricchezze.

A ENTRARE IN GIOCO appaiono due differenti modelli di valorizzazione, quello del plusvalore ottenuto attraverso lo sfruttamento del lavoro, e quello del plusvalore di mercato, teorizzato da Braudel, in cui è nella sfera della circolazione, attraverso spostamenti, un tempo prevalentemente geografici oggi sempre più culturali, che risiede la chiave per la realizzazione del profitto. Se per i beni standard la chiave di valorizzazione risiede nella prima modalità, e la qualificazione delle merci avverrebbe in via «analitica», le tipologie della collezione, della moda e dell’attivo puntano sul plusvalore di mercato supportato da una presentazione narrativa. Cruciale, in tal senso, viene ritenuta la risorsa della «storia», assunta non come un dato legato al passato ma come un costrutto sociale continuamente ricreato e riarticolato. Si tratta di veri e propri «giacimenti» continuamente ricreati e riarticolati dall’azione congiunta, a geometria variabile, di istituzioni pubbliche, stili di vita, lavoro intellettuale, spazi sottoculturali, dalla cooperazione sociale, in sintesi, nelle sue più diverse forme, lavorative e extralavorative, di cui i grandi e piccoli player si appropriano stabilendo nuove «enclosure». Ed è in tale dimensione che risiederebbe lo specifico dello sfruttamento nelle economie dell’arricchimento, dove il valore prodotto collettivamente viene captato e monopolizzato da specifici attori privati.

SI PUÒ GUARDARE ad Arricchimento da più punti di vista. Vi si può vedere un pionieristico tentativo di proporre un approccio sociologico al tema dei prezzi e del valore delle cose smarcandosi dalle impostazioni filosofiche (il feticismo della merce) o economiche (teoria del valore lavoro o dell’utilità marginale). La merce è qualsiasi oggetto che sia venduto, il prezzo è l’ammontare monetario che si realizza nella «prova» dello scambio mentre il valore, da elemento collocato a monte del prezzo, come suo fondamento oggettivo al di là delle oscillazioni contingenti del mercato, viene spostato a valle, e considerato come il complesso di argomenti forniti per contestare o giustificare il prezzo delle cose. Ed è su questo punto che opera la «presentazione narrativa», nelle differenti forme assunte dai diversi regimi di valorizzazione. Ma il libro è anche, e soprattutto, un contributo alla comprensione delle modalità estrattive del capitalismo contemporaneo (definito «integrale»), di cui viene evidenziato il carattere plurale, la sua capacità di trarre profitto dalle differenze, non riducibile a una generica e unitaria «logica di mercato», nonché delle dinamiche di sfruttamento del lavoro, della fiscalità, della cooperazione sociale, del tempo e dello spazio che lo caratterizzano.