Da un lato la scarsa trasparenza, l’opacità delle procedure e le carenze dei progetti. Dall’altra la sindrome di “nimby” (not in my backyard, ossia non nel mio giardino) o di “nimto” (not in my terms of office, non nel mio mandato). Questo dualismo micidiale, a volte reciprocamente giustificante, è una delle ragioni del blocco di tante opere nel nostro Paese. E il rischio che ciò si verifichi anche per gli interventi finalizzati alla transizione ecologica è reale.

Per evitarlo non occorrono procedure straordinarie o riduzioni di tutele, ma trasparenza delle informazioni, partecipazione e qualità dei progetti, al fine di garantire un confronto serio per affrontare e risolvere i problemi, ridimensionando lo spazio delle conflittualità sterili o di comodo.
Con questa consapevolezza Acli, ActionAid, Arci, Casa Comune, Cittadinanzattiva, Fridays for future, Greenpeace, Gruppo Abele, Legambiente, Libera, Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Unione degli Studenti e Wwf Italia hanno promosso il «Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione», un segnale chiaro inviato al Presidente Mario Draghi e ai ministri che lavorano al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a partire da Roberto Cingolani (ministro della transizione ecologica) ed Enrico Giovannini (ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili).

È fondamentale garantire il dibattito pubblico su tutte le opere importanti, comprese quelle della transizione ecologica, attraverso una procedura che permetta di stabilire tempi certi e, al contempo, assicuri il diritto dei cittadini a essere informati, a confrontarsi sui contenuti progettuali, ad avere risposte sulle preoccupazioni ambientali e sanitarie.

Per questo va rivista la normativa sul Dibattito pubblico (Dpcm 76/2018, Allegato 1) e sull’Inchiesta pubblica (articolo 24-bis, Decreto Legislativo 152/2016) e, inoltre, va rafforzata la macchina amministrativa di determinati settori per essere in grado di istruire ed esaminare nel dettaglio e con competenza i progetti, nonché di relazionarsi con i portatori di interesse.

Oggi in Italia l’informazione dei cittadini e la partecipazione ai processi decisionali per l’approvazione dei progetti non è garantita.
Nella scorsa legislatura è stata approvata la procedura di dibattito pubblico per le nuove opere pubbliche, ma l’iter di attuazione, completatosi solo da pochi mesi, prevede soglie dimensionali talmente elevate da escludere persino autostrade, centrali a gas, elettrodotti o gasdotti.
Non solo, il Decreto semplificazioni dello scorso anno, con la «scusa» dell’emergenza pandemica (che dovrebbe spingere a rafforzare la tutela ambientale e non certo a ridurla), ha pure introdotto una deroga fino al 2024.

Pensare che la partecipazione rallenti l’iter delle opere è sbagliato. I lunghi tempi di approvazione in Italia dipendono spesso dalla scarsa qualità di molti progetti presentati. L’iter di valutazione ambientale è rallentato per l’inadeguatezza tecnica degli elaborati o per la mancanza di analisi costi/benefici anche dal punto di vista ambientale e sociale.
I progetti fatti bene hanno tutto da guadagnare da un confronto pubblico che consentirebbe di spiegare le scelte, rispondere a dubbi e domande, approfondire gli aspetti ambientali e paesaggistici. Realizzare questo confronto prima dell’inizio della procedura permetterebbe di affrontare le questioni aperte, chiedere ai proponenti di dare seguito alle richieste di analisi più approfondite o presentare alternative.

La sfida va accettata: se il Governo veramente vuole accelerare nella direzione della decarbonizzazione del proprio sistema energetico e della gestione circolare delle risorse naturali, oltre a semplificare l’iter autorizzativo dei progetti realmente sostenibili, dovrà essere in grado di coinvolgere sempre più i territori nelle scelte da compiere.

* Vicepresidente Wwf Italia