Le accuse delle associazioni ambientaliste su quanto detto dal ministro Cingolani alle Commissioni di Camera e Senato rispetto alle misure di intervento per contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia non dovrebbero passare sotto silenzio. Ma anzi dovrebbero essere considerate la base di una discussione aperta e trasparente prima di una eventuale presa di posizione del consiglio dei ministri.

Si parte da due considerazioni ormai largamente accettate come incontrovertibili. La prima fa riferimento alla diretta responsabilità del gas sulla lievitazione dei prezzi e, per contro, alla totale estraneità delle fonti rinnovabili. Anzi, è con un ricorso massiccio alle rinnovabili e all’efficienza energetica che assicureremmo un affrancamento da una dipendenza energetica dall’estero instabile e pericolosa ed ora non più sostenibile.

La seconda riguarda la necessità di accelerare lo sviluppo delle rinnovabili che presupporrebbe una piena e convinta adesione del nostro Paese ai nuovi target, molto sfidanti, comunitari. Logica quindi vorrebbe che tutte le azioni relative alla decarbonizzazione vengano supportate con convinzione e quelle che hanno anche solo lo scopo di rallentarla, siano eliminate o almeno penalizzate. Da qui, la ovvia sottrazione di fondi dal settore oil&gas a favore di rinnovabili ed efficienza energetica. Dalle parole del ministro, invece, appare tutto il contrario.

Non è pensabile infatti di risolvere il tema dell’aumento dei prezzi dovuti al gas con il ricorso proprio al gas, tanto meno alle poche ed antieconomiche riserve nazionali. Non è pensabile immaginare di ricavare denaro dagli ipotetici extraprofitti delle energie rinnovabili senza fare riferimento alle inesistenti royalties delle estrazioni di gas e petrolio in Italia e nel mondo, che di fatto rappresentano extra-profitti a tutti gli effetti. Viene anzi dichiarato un chirurgico accanimento sulle rinnovabile che, come ha bene spiegato in queste ore l’Ad di Erg, hanno già concordato costi del kWh per l’80% della produzione 2021 e 2022 su valori metà degli attuali prezzi di mercato e che gli extraprofitti ottenuti sono ampiamente compensati dalle diminuzioni progressive delle incentivazioni. Con queste azioni c’è il pericolo che gli operatori, già in difficoltà per colpa del permitting, trovino ulteriori criticità rispetto alle installazioni necessarie. Stupisce il fatto che non sia citato il biometano, che ha il vantaggio di essere rinnovabile e strutturale, biometano già azzoppato da una bozza di Dm che se fosse approvata impedirebbe la produzione di biometano da Forsu.

Un altro aspetto sorprendentemente trascurato è quello delle misure strutturali a favore dell’efficienza energetica: la riduzione dei consumi è per definizione una misura contro il caro energia. La mancata attuazione dei provvedimenti di supporto previsti dal Dm 2021 incide pesantemente sul rilancio del meccanismo dei certificati bianchi, che invece aiuterebbero le imprese, messe a dura prova dalla crisi, a investire in efficienza energetica e a ridurre la loro esposizione sia al caro bollette, sia all’emission trading. Invece, l’accanimento è completato con asserzioni sul prelievo delle risorse Ets per calmierare prezzi dell’energia e del gas, quando tali risorse sarebbero destinate all’impulso delle energie verdi in termini di investimenti e di innovazione.

Ma c’è una cosa che in questo ragionamento logico pesa come un macigno. Nulla viene detto su un aspetto che risulterebbe decisivo per il contrasto al caro bollette: quello della eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi, visto che parliamo di circa venti miliardi di euro contro i dieci strombazzati in pompa magna con misure in gran parte inutili e confuse.

* Prorettore alla Sostenibilità,
Università La Sapienza di Roma