Apocalisse. Tragedia. Catastrofe. Così si sono espressi il capo del calcio (Tavecchio), il capo dello sport (Malagò) e il commissario tecnico (Ventura) sulla possibilità che gli azzurri non riescano a qualificarsi per il Mondiale di Russia 2018. Eppure basta fare due punti, forse anche uno solo, tra la partita di stasera a Torino contro la Macedonia e quella di lunedì a Scutari contro l’Albania, per avere la certezza di arrivare secondi e accedere ai playoff. Nel luglio 2015, il giorno dopo i sorteggi, tutti erano concordi che saremmo arrivati secondi dietro la Spagna e ci saremmo dovuti qualificare attraverso gli spareggi.

E infatti, a meno di una serie di improbabili combinazioni, a inizio novembre ci giocheremo il posto al Mondiale come teste di serie contro una tra Bosnia, Svezia, Montenegro e Slovacchia. Non certo un’impresa improba. Tutto è andato come previsto. E allora perché questi toni biblici da fine Impero? Un po’ per quell’equilibrio e quella moderazione tipica delle italiche genti quando discutono della Nazionale. Un po’ perché il tiro al bersaglio nei confronti del commissario tecnico è costituzione materiale del paese, fin dai pomodori lanciati contro Valcareggi «colpevole»di essere arrivato solo secondo dietro il Brasile a Messico 1970.

Un po’ perché anche l’allenatore ci ha messo del suo. Una lunga gavetta nelle serie minori, Ventura si fa conoscere al grande pubblico con il bel gioco di Pisa, Bari – dove allena una delle squadre più invischiate nel calcioscommesse – e Toro – dove si porta diversi giocatori poi squalificati di quel Bari. Arrivato in Nazionale senza particolari meriti se non l’indicazione di Marcello Lippi, ex direttore tecnico che si dimette per i conflitti d’interesse con il figlio procuratore, si mostra subito grato al suo mentore convocando diversi giocatori della scuderia.

Ultimo caso Spinazzola (della Reset Group di Davide Lippi) titolare a settembre nella disastrosa sconfitta contro la Spagna, nonostante non avesse giocato nemmeno un minuto in precampionato per la querelle tra Atalanta e Juve. In azzurro, Ventura s’inventa profeta di quella triste nouvelle vague che vorrebbe il calcio basato su numeri e schemi e impone un 4-2-4 assurdo con la squadra spaccata in due, in cui a farne le spese sono i talenti più preziosi come Insigne e Verratti.

Tanto basta per ottenere, a qualificazione non ancora avvenuta, un curioso rinnovo del contratto fino al 2020. Senza centrocampo (out De Rossi, Verratti, Marchisio e Pellegrini) e privo miglior attaccante (Belotti), stasera il c.t. si affiderà a Immobile (26 partite e 7 gol, di cui 6 con Ventura) a Gagliardini e alla novità Verdi del Bologna. Abbandonati d’un tratto sia il 4-2-4 sia la volontà di ringiovanire la squadra e avviare un nuovo ciclo, si torna alla vecchia, in tutti i sensi, difesa a 3: davanti a Buffon ecco Barzagli, Bonucci e Chiellini. 140 anni di spensieratezza per arrivare agli spareggi di novembre. Quando, più che a un’eventuale apocalisse, ci troveremo davanti all’ennesima tragicomica ipocalisse, come si conviene ai misteri buffi del nostro calci