In ritardo di «almeno 30 anni» e non è ancora arrivata a segno. L’Italia si adegua finalmente al resto del mondo civile e introduce nell’ordinamento penale il reato di tortura ma rimane lontana dalla Convenzione Onu. Ieri infatti il Senato ha approvato – con 231 sì e 3 astenuti – il testo licenziato dalla commissione Giustizia nell’ottobre scorso che descrive il reato solo come fattispecie generica e non specifica (cioè quando compiuto da un pubblico ufficiale su una persona in stato di privazione della libertà, anche per decisione legittima). Se il testo non verrà cambiato alla Camera, dove passa ora in seconda lettura, l’Italia dimostrerà ancora una volta la difficoltà ad adeguarsi agli standard internazionali del diritto, come invece si era impegnata a fare, sia pur con grande ritardo, a metà del 2012 con la ratifica del Protocollo della Convenzione Onu sulla tortura.

Niente affatto soddisfatto è il senatore Pd Luigi Manconi che ritiene il suo ddl originario «devitalizzato», perché nel testo licenziato dal Senato «la tortura non è qualificata come reato proprio ma comune, quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo alle forze dell’ordine, come avviene in molti Paesi occidentali».

Il testo di legge varato ieri prevede il carcere da 3 a 10 anni per chiunque «cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche» ad una «persona privata della libertà» o «affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza». Se a torturare è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle funzioni è prevista una specifica aggravante e la reclusione va da 4 a 12 anni. Se si causano lesioni personali, la pena aumenta: di un terzo se sono «gravi», della metà se «gravissime». L’ergastolo in caso di morte volontaria. Il terzo dei sette articoli che compongono la legge vieta «il respingimento, l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato nel quale esistano seri motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura». Poi, spiega il senatore del Pd Felice Casson che esulta per il «passo avanti» compiuto ieri dall’Aula di Palazzo Madama, «si chiarisce che le dichiarazioni ottenute mediante tortura possono essere utilizzate solo contro le persone accusate di tale delitto al fine di provarne la responsabilità e di stabilire che le dichiarazioni stesse sono state rese in conseguenza della tortura».