«Nessuno deve avere paura dell’introduzione del reato di tortura, anzi deve avere paura che non ci sia». Matteo Renzi la fa facile: mentre riconferma la sua piena fiducia a De Gennaro, sprona di nuovo il Parlamento a dare una risposta adeguata alla condanna emessa martedì scorso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia per la mattanza commessa dalle forze dell’ordine nella scuola Diaz durante il G8 di Genova. Lo stesso fa il Guardasigilli Andrea Orlando per «un voto il più ampio possibile per andare a Strasburgo e rivendicare un risultato non del governo ma di tutto il Parlamento». Ma la Camera ieri ci ha messo forse troppa fretta nel discutere e votare, con i tempi contingentati, una sessantina di emendamenti al ddl che introduce il reato di tortura, con l’intento di licenziare il testo e rispedirlo al più presto possibile in Senato. E ci è riuscita, con l’approvazione finale espressa nella notte.

«Dopo 27 anni dalla ratifica del trattato Onu, abbiamo pasticciato frettolosamente una legge già uscita male dal Senato», fa notare Daniele Farina di Sel. Il problema sollevato ieri in particolare è: «Ma i fatti della Diaz rientrerebbero o no nel reato come è perimetrato nel ddl?» I deputati di Sel ne avevano parlato già durante una conferenza stampa convocata in mattinata per chiedere anche l’introduzione del codice identificativo per gli agenti e l’istituzione di una vera commissione parlamentare d’inchiesta che, con poteri di magistratura, affronti «in un grande discorso pubblico» quella che Renzi ha definito una «pagina nera nella storia del nostro Paese».

Infatti, secondo il testo, per essere considerata tortura, le violenze e le minacce devono cagionare «acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza». Ma coloro che dormivano nella scuola Diaz, non essendo in stato di fermo, potrebbero essere considerati vittime di tortura? «Nel caso in cui non venga dimostrato che le vittime siano state sottoposte a custodia dell’agente, il reato di tortura non sarà applicabile. Stiamo facendo una legge inutile se non pericolosa», ha sottolineato il grillino Vittorio Ferraresi presentando un emendamento – poi bocciato – che si prefiggeva di correggere il tiro, come peraltro suggerito da diversi giuristi. Per la democratica Donatella Ferranti invece il caso rientrerebbe nell’aggravante prevista per i pubblici ufficiali che commettono il reato «con abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio».

Ed è proprio in questo secondo comma dell’articolo 1 del ddl che un emendamento, proposto da Alternativa libera e approvato con solo 22 voti contrari, ha apportato la più importante delle correzioni al testo licenziato oltre un mese fa dalla commissione Giustizia: l’innalzamento della reclusione massima – che sale da 12 a 15 anni, mentre quella minima rimane invariata a 5 anni – prevista nell’aggravante per i pubblici ufficiali. Fermo restando però che la fattispecie del reato rimane molto distante da quella adottata nelle convenzioni internazionali e caldeggiata da Strasburgo, dove la tortura è perseguita in modo particolare e imprescrittibile quando è commessa specificatamente da un incaricato dallo Stato di pubblico servizio. Nell’ordinamento italiano invece, se nulla cambierà al Senato dove il testo dovrà tornare in seconda lettura, la tortura sarà considerata un reato generico. E i tempi di prescrizione equivarranno al doppio della pena.

Sale, grazie ad un altro emendamento del M5S, anche la reclusione per il pubblico ufficiale che istiga alla tortura, indipendentemente se sia stata accolta o meno: da 1 a 6 anni e non più da sei mesi a 3 anni. Diminuita, invece, la pena per chi tortura fino alla morte «quale conseguenza non voluta»: dai trent’anni di reclusione previsti nel testo arrivato in Aula si scende ad un massimo di 20 perché l’aggravante in questo caso prescrive un aumento di pene di 2/3.

Il centrodestra e in particolare Lega e Fratelli d’Italia hanno tentato in tutti i modi di annacquare ulteriormente il testo. Per Forza Italia non può esserci tortura «senza lesione». Mentre la Lega, che è «assolutamente contraria all’introduzione del reato», ha riproposto il vecchio cavallo di troia di Lussana che vuole la tortura inesistente se non c’è ripetitività della violenza, se le sofferenze «oltre ad essere acute non sono anche gravi» e se il patimento sofferto è «solo psichico». Dai banchi della destra si è parlato di punizioni «immotivate» e «vandaliche» per «un eccesso o un’intemperanza delle forze dell’ordine» che «non faranno altro che demotivare la nostra polizia». E. Ma.