Durò solo due stagioni, quattordici puntate nel 1988 e dieci nel 1989, eppure La tivù delle ragazze ha lasciato il segno nella memoria e nella storia della televisione italiana. Angelo Guglielmi era diventato direttore di Rai3 da un anno e aveva già scompigliato il soporifero palinsesto televisivo con trasmissioni quali Telefono giallo, Samarcanda, Un giorno in pretura. Quei programmi furono definiti tivù-verità perché facevano diventare il pubblico protagonista e non più solo spettatore mostrando il dietro le quinte della televisione e della vita. A guardar bene, tuttavia, quella non era una tivù-verità, ma una tivù smascherante perché teatralizzava la vita fino al paradosso di svelare il mostro che, talvolta, alberga in noi e nel quotidiano, in una sorta di sottile specchio perfido.
La tivù delle ragazze, invece, non era perfida. Era svelante perché fece qualcosa che in televisione si era fatto rarissime volte, e ad personam, ovvero mostrare che le donne sanno ridere degli altri e di se stesse (pregio assoluto), pratica che nel passato del piccolo schermo aveva avuto pocchissimi esempi, primo fra tutti quello di Franca Valeri. La tivù delle ragazze mostrò che le donne, tante, hanno forte vis comica, sanno fare gruppo e usare l’ironia a piene mani. Il programma era stato ideato da Serena Dandini, Valentina Amurri e Linda Brunetta e cooptò un cast tutto femminile, dalle registe (Marilena Fogliatti prima e poi Franza Di Rosa), alle attrici e qui la lista è lunghissima e annovera Alessandra Casella, Cinzia Leone, Lella Costa, Francesca Reggiani, Sabina Guzzanti, Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti, Monica Scattini, Carola Silvestrelli, Maria Laura Baccarini, Susy Blady, Tosca D’Aquino, Orsetta De Rossi, Iaia Forte, Isa Gallinelli, Eleonora Danco, Bruna Feirri, Carlina Torta, Silvia Irene Lippi, Olga Durano, Carla Fioravanti, Elena Pandolfi.

Un programma svelante perché fece qualcosa che in televisione si era fatto rarissime volte, e ad personam, ovvero mostrare che le donne sanno ridere degli altri e di se stesse (pregio assoluto), pratica che nel passato del piccolo schermo aveva avuto pocchissimi esempi, primo fra tutti quello di Franca Valeri.

SE SI VANNO a rivedere le puntate su Raiplay, per noi che allora le vedemmo in diretta, si scopre con tenerezza quanto eravamo giovani, scatenate e brave (perché bisogna dirselo, quando se ne ha contezza), che già allora si sapeva leggere fra le righe degli ammiccamenti di Lilly Gruber, parodiata da un’esilarante Alessandra Casella, che si sapeva smontare l’altare del divismo (vedi le incursioni di Susy Blady travestita da cameriera con tanto di grembiulino e crestina a casa di Stefania Sandrelli o Simona Marchini o Marina Lante della Rovere, prima che diventasse Ripa di Meana).

CHE SI ERA CAPACI di giocare con i mostri sacri sottolineandone la modernità, come nel caso degli annunci di inizio e fine trasmissione affidati a Tina Lattanzi, doppiatrice di Greta Garbo, inquadrata di spalle davanti a un televisore di piccolo formato che trasmette immagini della Garbo in bianco e nero.
Che cosa c’era di nuovo nella televisione di Angelo Guglielmi? Lo ha scritto lui stesso nel suo ultimo libro Sfido a riconoscermi (La Nave di Teseo, 2019). «Che cos’è la neo tivù (la sua n.d.r)? La televisione pedagogica considerava lo strumento televisivo alla stregua di un nastro trasportatore su cui veicolare prodotti e conoscenze nati all’interno di altro linguaggio: il teatro, la letteratura, la musica, le arti visive, perfino il cinema. La neo tivù considerava la tivù non uno strumento, ma un linguaggio».
Proprio per questo Guglielmi, pur essendo fra i produttori del film Nuovo cinema Paradiso, non volle mai trasmetterlo sulla sua rete, ma lo cedette a Rai1. Per questo La tivù delle ragazze poteva esistere solo lì, con quelle protagoniste, in quel momento e con quel linguaggio.