Sea Of Shadows, uscito la scorsa settimana per National Geographic è l’ultimo sforzo produttivo di Leonardo Di Caprio. Il documentario documenta la lotta per salvare la «vaquita» ovvero la Focena del Golfo di California, in Messico. Le sorti del più piccolo mammifero marino (cugino del delfino), endemico al Mare di Cortez, sono appese ad un filo. Ne rimangono, si stima, attorno ai 30 esemplari appena e serve ormai un miracolo per salvarle dall’estinzione cui sembrerebbero destinate a causa delle catture accidentali (bycatch) e della mafia dei cartelli dediti nelle stesse acque al bracconaggio del pesce Totoaba e al contrabbando di quest’altra specie protetta verso la Cina. È l’ultima causa di tutela ambientale a beneficiare dell’impegno dell’attore (nel cast anche dell’ultimo film di Quentin Tarantino, C’era una volta a Hollywood). In via di uscita, sempre per la produzione di Di Caprio, c’è anche Ice On Fire, che tratta più specificamente delle strategie ancora possibili per ridurre il carico di carbonio nell’atmosfera e tentare di rallentare il mutamento climatico in atto (aggravato ora dal metano sprigionato dallo scioglimento di ghiacci artici e permafrost).

Attivista, militante, produttore esecutivo di una dozzina di doc serie e perfino un reality a tema ambientale. Di Caprio è forza trainante a Hollywood per l’impegno ambientalista. È titolare della DiCaprio Foundation (da poco mutata in Earth Alliance) che ha elargito oltre 100 milioni di dollari in finanziamenti di progetti di tutela di habitat e fauna a rischio (conservazione), studi scientifici e azioni ambientaliste: 200 iniziative di 132 organizzazioni distinte. Earth Alliance continuerà i finanziamenti e coordinerà investimenti in green economy secondo il mantra dell’amico Al Gore secondo cui alla fine solo il movente economico potrà permettere di cambiare rotta industriale per tempo.

Nel 2018 i fondi raccolti in beneficenza a scopi ambientali negli Stati uniti sono aumentati del 3,6% fino a 12,7 miliardi di dollari, un record pur se meno di quelli destinati a salute, istruzione, cultura o charity religiose.

Oltre che per i film lei è noto anche per come ha deciso di spendere la sua fama.

Un sacco di miei amici sono attori. Mi rendo bene conto che, percentualmente, sfondare in questo campo è simile a vincere al lotto, vedo la fatica che fa la maggior parte dei miei colleghi. La carriera di un attore può essere molto effimera, personalmente sin dagli inizi ho cercato di prendere la prospettiva lunga, sperando un giorno di arrivare al capolinea avendo fatto un lavoro variato e di cui poter andare fiero. La fama poi è del tutto incostante, si tratta di non badarci e tentare di far del buon lavoro.

A proposito di buon lavoro di cosa va più fiero nel suo lavoro di conservazione?

L’appoggio che siamo riusciti a dare alle comunità indigene. Loro sono davvero in prima linea, per esempio di quello che sta avvenendo ora in Brasile con questo nuovo governo che in Amazzonia vuole mettere non solo dighe idroelettriche e miniere, ma anche allevamenti, il che significherebbe la disintegrazione della vita e degli ultimi polmoni della Terra. È essenziale aiutare quelle tribù indigene che sono davvero l’ultimo baluardo nel conservare luoghi che rischiano di sparire per sempre. Cerchiamo di assistere organizzazioni che non abbiamo grandi burocrazie ma siano radicate nelle comunità che combattono per la sopravvivenza propria oltre che degli habitat e della biodiversità che vi sussiste.

E gli investimenti?

Non me ne occupo direttamente, non è il mio forte, per questo assumo consulenti molto più bravi di me. Le charity riesco a seguirle direttamente ma per gli investimenti in green economy è un’altra storia.

In Europa e nel mondo è nato un movimento giovanile per l’ambiente.

Trovo normale che sia così, specialmente dal momento che governi e imprese non reagiscono alle sollecitazioni. Anche io come tutti uso i social, ma a un certo punto voglio «scarpe sul terreno», occorre una vera e propria rivoluzione se vogliamo avere una chance di spezzare la morsa in cui ci troviamo, in cui gli interessi degli stati e delle corporation hanno precedenza su tutto. Occorre un movimento che dia voce alla gente, potrei parlare all’infinito ma la realtà è che toccherà alla prossima generazione, sono loro che saranno investiti direttamente e lo hanno capito molto bene. E’ semplicemente assurdo vivere in una cultura che nega così disinvoltamente l’evidenza scientifica. Non ho mai visto nulla di simile, aveva chiaramente ragione Al Gore quando definiva «scomoda» questa realtà.

Ormai c’è chi sceglie di non procreare più…

Ovviamente è una scelta personale di ognuno ma date le circostanze non mi stupisce davvero che qualcuno decida di non mettere al mondo figli, in questo mondo. Non sarò certo io a cercare di convincerli. È un futuro spaventoso anche se molti non riescono a contemplarlo dato che i fenomeni sono progressivi.

Ha ancora un pizzico di ottimismo?

Non è facile esserlo, anzi è difficilissimo. Facendo le cose che faccio, il lavoro con la fondazione e l’impegno su questo tema, vengo inondato quotidianamente da notizie che indicano una inversione potenzialmente cataclismica nella storia della civiltà. Tutte indicano tempi urgenti che non hanno precedenti ed è difficile rimanere ottimisti. Spero che presto ci sarà un nuovo governo negli Stati Uniti…sono pochi i protagonisti che possono davvero incidere sul futuro della Terra, la Cina, gli Usa, l’India…l’Europa. L’America deve giocare un ruolo chiave come esempio mondiale, sono decenni che lo diciamo. Non so cosa potrebbe essere più chiaro dal punto di vista della ricerca scientifica, il 99% degli scienziati è d’accordo sul contributo umano ed il ruolo dell’inquinamento atmosferico in ciò che sta accadendo. Possiamo solo sperare. Solo questo, sperare e continuare a lottare.