Draghi ha telefonato a Conte, non lo ha trovato, è stato richiamato. «Un inizio di chiarimento e il governo non rischia», annuncia, seguirà incontro. Lui, Grillo, svicola, accusa i giornalisti di inventare, fa finta di niente. Formule che, tutte, dicono chiaramente una cosa sola: l’incidente non è chiuso e se si chiuderà rapidamente sarà per finta. Perché non si tratta di una gaffe, dell’imprudenza di un premier che, poco avvezzo alla politica, parla con troppa libertà. Probabilmente c’è anche questo, come sullo sfondo c’è di certo la marcata antipatia che Draghi e Conte nutrono l’uno per l’altro. Però è molto difficile credere che si tratti solo di questo.

Pochi giorni fa, in occasione del dibattito parlamentare sull’Ucraina, Draghi ha letteralmente umiliato il capo dei 5S rifiutando di concedergli anche solo la possibilità di vantare un pur minimo risultato nella sua battaglia contro l’invio di nuove armi. Un cedimento di Draghi non era neppure immaginabile ma sarebbe stato possibile, anzi facile, andare un po’ oltre quelle due parolette, coinvolgimento del Parlamento «necessario e ampio» che sono state invece tutto quel che Conte ha strappato e anche con notevole fatica. Il sospetto che la scissione di Di Maio sia stata in qualche misura pianificata con palazzo Chigi per i 5S è una certezza e probabilmente non sono lontanissimi dal vero. L’incursione contro il Superbonus, altro colpo al cuore pentastellato, era prevedibile ma non c’era alcun bisogno di annunciarla ora e in quelle forme quasi sprezzanti.

È impossibile quindi evitare la sensazione che Draghi stia letteralmente spingendo Conte verso la porta d’uscita se non dalla maggioranza almeno dal governo. Se così fosse bisognerebbe chiedersene la ragione. La fronda di Conte può certo essere fastidiosa ma nei fatti si è sempre dimostrata innocua come quella, ormai quasi caricaturale, di Salvini. In compenso il premier può contare su una maggioranza e su un’opposizione schierate sulla stessa linea nell’unico fronte che oggi conti, quello della guerra. Con mezzo paese che in quella posizione non si riconosce e che è di fatto privo di rappresentanza non si capisce dove sia il vantaggio nell’indurre Conte a cercare di farsi lui rappresentante di quel mezzo paese costretto al mutismo.

In parte il problema è che quella presenza innocua ma rumorosa finisce per pesare nei rapporti con gli alleati, e indebolisce Draghi nelle trattative su questioni fondamentali come il Price Cap. Ma è anche possibile che, col rischio che il coinvolgimento italiano debba diventare nel prossimo futuro più stringente, il premier non voglia avere un’opposizione strisciante all’interno del governo.
Non è affatto detto, peraltro, che quella spinta di Draghi sia del tutto sgradita. Dopo la scissione l’ex premier si è lamentato in privato ma sempre aggiungendo «Ora però posso correre». Come potrebbe correre con le redini di Draghi sul collo?