C’era già qualcuno a scommettere che il Bitcoin potesse diventare una sorta di riserva aurea dematerializzata, ovvero un bene rifugio senza la «solidità» (soldo, come è noto, deriva da solidus) dell’oro, moneta-merce per eccellenza fin dall’antichità.

Complice, anche questa volta, come tre anni fa, un nuovo record della più nota delle criptovalute: quarantamila dollari per ogni Bitcoin (+400% in un anno). Euforia che però è durata poco. Ora il timore è che la caduta possa avvenire troppo repentinamente, stante il crollo del 21% delle sue quotazioni in soli due giorni, con impatti imprevedibili su altri strumenti negoziabili.

Ma come si spiega l’impennata dei giorni scorsi? C’entra certamente la pandemia e il lavoro che stanno facendo da un capo all’altro del pianeta le principali banche centrali. La liquidità è tanta, ma i rendimenti degli assets tradizionali, a cominciare dalle obbligazioni statali, sono troppo bassi.

Guardiamo al caso italiano: le prime emissioni dell’anno di Btp hanno fatto registrare una domanda dieci volte superiore all’offerta e tassi di interesse prossimi o addirittura sotto allo zero (investitori che pagano per tenere i soldi nei nostri titoli). Non certo un quadro allettante per speculatori più temerari, tenuto conto anche del deprezzamento del «biglietto verde» rispetto ad altre monete forti ed all’euro in particolare.

È bastato quindi che un colosso finanziario come JP Morgan, attraverso i suoi analisti, parlasse di un Bitcoin a 150 mila dollari nel lungo periodo che subito un gran numero di investitori frustrati dall’attuale flemma dei mercati finanziari è stato colto da una sorta di nuova «febbre dell’oro». Miraggio di facili e favolosi guadagni in tempi relativamente corti.

L’avvento dell’informatica ha rivoluzionato il mondo della finanza. Tutto quello che chiamiamo denaro oggi è in gran parte rappresentato da serie numeriche che camminano su piattaforme digitali. Da questo punto di vista, le criptovalute sono solo l’ultima frontiera del denaro digitale. E come tali possono integrare la struttura di altri strumenti finanziari negoziati sui mercati ufficiali quanto su quelli «ombra» (Shadow Banking System), fino ai mercati «illegali» gestiti dalla «criminalità finanziaria». Ne è prova la crescita impetuosa negli ultimi anni di strumenti derivati aventi come sottostante, per l’appunto, le principali criptovalute del pianeta (Bitcoin ed Ethereum, soprattutto).

Alcuni numeri. Nell’anno che si è appena concluso il volume di scambi mensili sulla sola piattaforma Deribit, una delle tante piattaforme che offrono futures su Bitcoin, aveva raggiunto i due miliardi di dollari. Niente a confronto con quello che è accaduto nei giorni scorsi, quando Binance, il più grande exchange di criptovalute al mondo, ha fatto registrare in un solo giorno un volume di scambi, comprensivo di contratti derivati, pari a 80 miliardi di dollari. Cifre da capogiro, che dimostrano come le criptovalute siano diventate ormai parte integrante e sostanziale del grande gioco speculativo a livello mondiale.

Dicevamo della pandemia. Essa ci lascerà in eredità non soltanto buchi economici da colmare, ma anche tanta liquidità da smaltire. Il Quantitative easing sta tenendo i tassi bassi, ma proprio per questo la grande liquidità di cui dispongono le banche sta prendendo sempre più la strada di investimenti arrischiati. È più facile guadagnare così che prestando i soldi a famiglie ed imprese. E infatti, uno dei limiti principali della politica monetaria espansiva di questi anni è stato proprio la sua scarsa trasmissibilità all’economia reale (la vecchia «trappola della liquidità» ).

La discesa vorticosa delle quotazioni del Bitcoin dopo il boom dei giorni scorsi forse ridimensionerà le aspettative troppo ottimistiche degli investitori, ma il tema di come mettere ordine nel mercato dei soldi, oggi arricchito dalla criptovalute, rimane. Anche perché lo scoppio di alcune bolle finanziarie – l’economia va male ma le borse continuano a tirare – potrebbe coincidere con una moltiplicazione delle insolvenze di imprese e famiglie a causa della crisi indotta dalla pandemia (un rischio paventato dalla stessa Bce nei giorni scorsi). A quel punto saremmo davanti ad una tempesta perfetta, dalle conseguenze davvero imponderabili.