Uno «schiaffo» o un «fiasco», questi i termini più utilizzati all’indomani della sconfitta della destra svizzera al referendum che, abrogando la libera circolazione degli europei, avrebbe di fatto sancito una seconda Brexit nel cuore del continente, sia pur di un paese che ufficialmente non fa parte dell’Ue. Il 61,7 per cento degli svizzeri hanno detto no alla proposta dell’Unione di centro (Udc), il partito per nulla centrista di maggioranza relativa nel paese. In controtendenza, se si fa eccezione per tre cantoni più piccoli, è l’italofono Ticino. Qui la maggioranza dei votanti (il 53,1 per cento) ha detto sì al ripristino delle frontiere, facendo sorridere più la Lega che l’Udc. In realtà, pure il risultato ticinese è inferiore alle attese per la destra, che sperava di bissare il 68 per cento del primo referendum contro l’immigrazione, nel 2014. Invece, nonostante le campagne contro i frontalieri e il dumping salariale, nonché contro l’Ue, le destre “sovraniste” hanno perso ben quindici punti anche nella roccaforte ticinese.

«Malgrado le destre populiste abbiano promosso da anni campagne atte a dividere i salariati e colpevolizzare i migranti, le istanze xenofobe risultano oggi minoritarie», ha commentato da Lugano il Forum alternativo, mentre per il sindacato di sinistra Unia «il chiaro no al referendum dell’Udc è una vittoria delle lavoratrici e dei lavoratori».

È un sì risicato che somiglia tanto a una sconfitta anche quello che ha approvato l’acquisto, da parte dell’esercito, di nuovi aerei da combattimento. Pure la neutrale e pacifica Svizzera avrà i suoi F35.

Infine, a Ginevra è stata approvata dai cittadini la proposta di un fronte di sinistra di portare il salario minimo a 23 franchi (poco più di 20 euro) l’ora. In una delle città più ricche e più care al mondo, dove hanno fatto il giro del mondo le foto delle code chilometriche alle mense per poveri durante il lockdown, è una buona notizia.