Slitta a domenica 27 gennaio la chiusura del congresso dei circoli Pd, ma l’affluenza al voto resta al palo. Fino a ieri i votanti raggiungevano un terzo degli iscritti, meno di centomila. Le percentuali saliranno grazie allo spostamento dei termini, ma al netto di improbabili fiammate finali, questo congresso già si attesta fra i meno partecipati della storia del Pd.
A certificare lo scarso interesse, dentro e fuori il partito, arrivano le parole del professore Romano Prodi, padre nobile di tutte le rinascite del centrosinistra, fin qui non riuscite. Ieri era a Bruxelles per un incontro con il presidente della Commissione europea Junker. Poi con giornalisti ha parlato di «superficiale brutalità» a proposito degli attacchi dei vicepremier italiani alla Francia, ha auspicato la pace in Libia, descritto l’Unione come un’incompiuta, «un pane mezzo crudo e mezzo cotto».

Quando è arrivata la domanda sulla possibilità che il centro-sinistra italiano torni protagonista, non si è tirato indietro. «In politica i cambiamenti avvengono spesso in maniera anche molto più veloce di quanto non si creda. Io non avevo mai pensato di vincere le elezioni, invece in un anno abbiamo organizzato tutto ed è andata bene». Sembrano parole di conforto per il Pd, e invece la conclusione è una doccia fredda: «Il problema è di avere una idea e una prospettiva che è quello che manca oggi».

Non suona come un incoraggiamento per le prossime primarie del Pd. E neanche per il suo ormai quasi certo nuovo segretario Nicola Zingaretti. Tant’è che a stretto giro arriva l’aggiustamento di tiro dell’ex portavoce (ed ex deputata Pd) Sandra Zampa: le parole del professore, spiega, sono «un’incalzante esortazione» al centrosinistra e allo stesso Pd. Non la disincantata bocciatura che sembrano.
A casa Zingaretti, il candidato che più degli altri predica la ricostruzione di un campo democratico – insomma di un qualche centrosinistra – nessuno ammette la delusione. Prodi, del resto, non da tempo più iscritto al Pd.

Il presidente del Lazio, in attesa di certificare la smagliante vittoria nel partito, ora pensa a riempire i gazebo. Invitando ad esempio Carlo Calenda ad andare a votare almeno il 3 marzo. «Per dare un segnale: il Pd nuovo è tornato». L’ex ministro infatti ha dichiarato di non aver votato al congresso dei circoli perché troppo impegnato a raccogliere firme sul suo «manifesto europeista» (è arrivato a quota 120mila) con cui di fatto si è guadagnato un posto da capolista alle europee di maggio. Ma sarà il segretario del Pd a metterlo in lista.

E il segretario sarà con ogni probabilità Zingaretti. Verso di lui è già iniziata la transumanza di chi fino ad ora non si era schierato, con argomenti più o meno credibili. È il caso di Stefano Bonaccini, ricandidato alla Regione Emilia Romagna (dove ha vinto Zingaretti), Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Emilia e firmatario dell’appello a Minniti, Matteo Ricci, sindaco di Pesaro già bersaniano poi vicepresidente del Pd renziano, Pietro Bussolati, consigliere regionale lombardo, Pierfrancesco Maran, assessore di Sala a Milano, Mercedes Bresso, europarlamentare uscente ed ex presidente del Piemonte.
Nella coda del congresso dei circoli, come anticipato dal manifesto, ci sarà del veleno. In Sicilia i zingarettiani accusano il segretario regionale Faraone, renziano e schierato con Martina, di ostruzionismo. «Dall’anagrafe di Palermo sono stati esclusi alcuni circoli che hanno sempre votato. Più di mille iscritti. Guarda caso si tratta di circoli che sono della parte avversa rispetto a quella della maggioranza», denuncia Teresa Piccione.