Quello de La finta giardiniera in cartellone fino al 29 ottobre è il primo allestimento del Teatro alla Scala di Milano di quest’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, andata in scena solo due volte nel 1970 e nel 1971 alla Piccola Scala in una versione precedente l’edizione critica della partitura, pubblicata nel 1978. La produzione attuale, riproducendo quella applauditissima del 2014 al Festival di Glyndebourne, da un lato persegue la fedeltà all’originale avvalendosi di un’esecuzione con strumenti d’epoca, dall’altro ci presenta una partitura assai rimaneggiata, con tagli e spostamenti di interi numeri musicali rispetto all’edizione critica. Diego Fasolis dirige magistralmente la compagine barocca dell’Orchestra scaligera permettendoci di ammirare le sperimentazioni musicali e drammaturgiche del diciottenne Mozart, qui al suo secondo cimento con l’opera buffa (il primo fu La finta semplice): il registro comico e quello tragico si inseguono e si mescolano assai liberamente, mettendo al centro dell’opera mezzi caratteri (Sandrina e Belfiore) e vestendo le loro arie dal contenuto assai svagato con musiche di una raffinatezza armonica e melodica a tratti abbagliante (un esempio su tutti: «Geme la tortorella»).

Il cast comprende alcune delle voci più interessanti della nuova generazione di cantanti mozartiani: Hanna-Elisabeth Müller, che alla prima non ha potuto cantare a causa di un’influenza, ma è si è comunque fatta carico dell’azione scenica, lasciando l’incombenza del canto a Julie Martin du Theil, che dal bordo del palco ha fatto il possibile per tratteggiare una Sadrina delicatissima; Bernard Richter dà voce e corpo a un Belfiore stralunato e mai troppo serio; Anett Fritsch e Lucia Cirillo scolpiscono i tragici Arminda e Ramiro con la giusta potenza e con un uso attento della coloratura, straniante per la prima e lirico per la seconda; Kresimir Spicer ci regala un Podestà divertente ma con un’emissione vocale incerta; Giulia Semenzato (Serpetta) e Mattia Olivieri (Nardo) sono deliziosi sia vocalmente che scenicamente.

La regia di Frederic Wake-Walker, insieme alle scene e ai costumi di Antony McDonald e alle luci di Lucy Carter, dà corpo a un allestimento lunare: l’interno barocco di un castello bavarese (la prima assoluta dell’opera fu a Monaco) presenta uno strappo nel cielo di carta che richiama quello «umoristico» del pirandelliano Mattia Pascal e che progressivamente si allarga lasciando i personaggi in una scena vuota, faccia a faccia con la finzione tematizzata dal titolo, che non è solo quella dei ruoli teatrali, ma anche quella delle schermaglie amorose reali. Una finzione che, secondo il modello ineffabile dello shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate, può e deve essere svelata pietosamente.