Firenze 2010, «un’era geologica» fa. È con quest’immagine, dopo il video omaggio a Mandela che fa alzare in piedi i delegati riuniti nel Palacongressi di Riccione, che Nichi Vendola apre la sua lunga relazione al secondo congresso di Sel. Tanta acqua è passata dal congresso fondativo, e non nella direzione che immaginava il partito nato da un’ennesima scissione a sinistra. Tre anni durante i quali la crisi finanziaria è precipitata in una crisi economica sempre più grave e nel frattempo la politica ha subito una progressiva delegittimazione, soppiantata dalla «tecnica». Ovvero, dice Vendola – in un quadro politico italiano dove «la destra fa la destra, il centro fa la destra e la sinistra fa il centro» – dalla «destra globale che si presenta in forma di tecnica», con le sue nefaste ricette rigoriste.

Tre anni dopo Firenze, anche per Sel il futuro è quantomai incerto. Allora Sinistra ecologia e libertà era fuori dal parlamento, dopo che la Sinistra arcobaleno era stata sacrificata sull’altare della veltroniana vocazione maggioritaria e diventata extraparlamentare complici le sirene del voto utile. Ora siede sui banchi di Montecitorio e palazzo Madama. Ma non per questo sta meglio. E la legge elettorale partorita al Nazareno dalla strana coppia Renzi-Berlusconi peggiora gravemente la situazione. Trovare «la strada giusta», come recita lo slogan delle assise, non è facile. Ma necessariamente Sel ci deve provare. E vuole farlo con le sue gambe. «È tempo di toglierci il lutto», annuncia dunque Vendola stretto nel suo abito nero come la cravatta.

Il presidente della Puglia ha descritto un quadro generale che riassume con la parola «fango» (e nella lista inserisce anche il «fango mediatico» contro di lui per la vicenda Ilva), fuori piove e fa freddo, ma i 900 delegati aspettano solo di sentirsi dire che le bandiere del loro partito continueranno a sventolare. La platea esplode nell’applauso più lungo quando Vendola chiarisce: «Non ho voglia di iscrivermi a nessuna delle sue correnti. Il Pd non è né il mio né il nostro destino».

L’arrivo di Matteo Renzi, che prima dell’accelerazione sulla legge elettorale aveva accettato l’invito a intervenire qui a Riccione oggi pomeriggio, ieri sera non era confermato. Il leader del Pd era ancora incerto, in attesa di una telefonata notturna con Vendola per prendere una decisione. I rapporti sono «in crisi», spiega a sera il leader di Sel che aveva incontrato Renzi proprio prima del fatidico summit della «profonda sintonia», minimizzando il rischio di contestazioni. Ma l’invito ricevuto a suo tempo dal sindaco di Firenze ora è accompagnato da parole non tenere pronunciate dal palco dal leader di Sinistra e libertà, che sperava nella sepoltura del Porcellum. Dal palco infatti Vendola chiarisce di non aver apprezzato la trattativa preventiva con il Cavaliere sulla legge elettorale. Una trattativa oltretutto «segnata da un elemento grave di opacità: non si può ignorare il tema dell’ineleggibilità a causa del conflitto d’interessi». E poi c’è «l’abnorme premio di maggioranza» e «l’abnorme» soglia di sbarramento al 5% introdotta con l’«argomento malato e inascoltabile» dei piccoli partiti che avrebbero «strangolato» l’Italia. A Matteo Renzi dunque Vendola si rivolge «con rispetto, speranza, apertura e senza pregiudizi». Ma anche con un «caro Matteo, l’abbraccio con il Caimano è una maledizione per la sinistra moderna che ne esce sempre smontata». E ricorda che Piero Calamandrei fu eletto alla Costituente in rappresentanza di un partito, il Partito d’Azione, che aveva l’1,5 per cento dei consensi.

Prima di chiudere a un eventuale ingresso o federazione con il Pd, Vendola aveva affrontato il nodo delle elezioni europee. E qui quale sia la «strada giusta» non è ancora chiaro. Tra Martin Schulz, della tedesca Spd, e il leader della greca Syriza Alexis Tsipras, il presidente pugliese non vorrebbe essere messo nella condizione di dover scegliere. Il primo può «svolgere un ruolo di rilancio della socialdemocrazia europea da sinistra»; il secondo, Tsipras, è «il Davide ellenico che sfida il Golia teutonico».

Spiega di non procedere in uno «zig zag tattico», proponendo equilibristiche «mediazioni». Ma «ci sarebbe piaciuto che l’appello degli intellettuali pro Tsipras (pubblicato sul manifesto del 17 gennaio, ndr) non fosse prigioniero di una gabbia, quella del Gue. Perché ridurre la portata politica di una proposta potenzialmente così dirompente?». La risposta arrivata ieri da Tsipras ai firmatari dell’appello e a Rifondazione comunista rende il percorso alle europee di Sel forse meno impervio. Ma dal palco (a risposta non ancora arrivata) Vendola chiarisce che in ogni caso «Sel non deve avere paura di andare al voto con il suo simbolo». La questione resta aperta. Ma per quanto riguarda il simbolo sotto il quale campeggia il suo cognome, Vendola chiede di accogliere la richiesta di toglierlo perché lui non è il proprietario del partito e perché «sono una persona, non ho voglia di sventolare come una bandiera».