Andrew Hyatt già regista di un paio di film non memorabili, si cimenta in Piena di grazia con la figura di Maria di Nazareth, raccontata nei suoi ultimi giorni di vita.
È l’anno 43 e la chiesa ha bisogno di una guida. Alcuni adepti vorrebbero che Pietro, testimone diretto degli insegnamenti di Gesù, assumesse il comando, ma l’apostolo non si sente pronto. Troppa è la distanza tra lui e il figlio di dio.
Dopo dieci anni, però, è arrivato il momento di superare l’assenza di Gesù in Terra e di darsi delle regole.

Anche perché il movimento, formato per lo più da convertiti che mai hanno visto Gesù all’opera, è allo sbando con una moltitudine di individui che sostiene cose distanti dagli autentici principi della fede. Pietro, allora, si reca da Maria per conoscere il sentiero da seguire, per imparare a non dubitare di se stesso. Ascoltare, seguire e credere, questo è ciò che la donna dice al futuro primo Papa della chiesa cattolica.
Se non si trattasse di un film modesto, potremmo riflettere a lungo sulla distinzione tra autorevolezza e autorità, sul contrasto tra fede e conoscenza, sul senso di un’eredità raccolta da chi è stato testimone o da chi ha aderito a dei principi. Ma sarebbe un eccesso di zelo.