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Nella prefazione del libro di Rosa Mordenti, Al centro di una città antichissima, La storia indicibile di un partigiano e di chi lo uccise (Edizioni Alegre, pp. 96, 10 euro), Alessando Portelli accosta il volume niente meno che a Williamk Faulkner e al suo Absalom! Absalom!, per quanto riguarda il recupero dell’ascendenza familiare, da parte di chi è arrivato dopo. «Nessuno si mette seduto – scrive Portelli -, magari accanto al focolare, a raccontarcela dall’inizio alla fine»; la dobbiamo rappezzare mettendo insieme frammenti di discorsi sentiti per caso, oggetti trovati, frasi sfuggite ai «grandi». La ricerca di Rosa Mordenti è messa in moto da una frase sfuggita al padre durante un viaggio in macchina – «Quando tua nonna era in prigione…».

L’AUTRICE racconta una storia che probabilmente tutta la sinistra romana ha custodito per anni, insieme a ricordi e derive incastrate in un momento storico particolare, all’interno di un mondo, inserito in un mondo ancora più particolare, quello del Pci romano post Liberazione. Ma Rosa, la nipote dei protagonisti, scopre questa storia per caso e comincia a mettere insieme i pezzi. La sua non è una ricerca ossessiva: la sua scrittura, come la storia che racconta, è soave e potente allo stesso tempo. Apre mondi, che talvolta chiude all’improvviso e con decisione dietro porte blindate; concede dettagli che accendono i sentimenti, perché i nonni sono i suoi, ma la potenza di una scrittura si misura con la capacità di scatenare passioni universali.

IL CUORE DEL VOLUME è la scoperta di quella storia «indicibile», la necessaria volontà di raccontarla con parole sue, con quelle del nonno, con quelle di chi l’ha conosciuto, con frammenti di film, mozziconi di parole raccolte dai vecchi amici, immaginazione specie per quanto riguarda la nonna e la sua vita in prigione. Cosa conosce Rosa di suo nonno e di sua nonna lo mette in evidenza all’inizio del libro: sa quando e dove è nato suo nonno, Renato Mordenti, sa l’origine della famiglia della nonna. Sa infine che suo nonno «morì a trent’anni, un giorno di aprile del 1952, per mano di mia nonna Maria Luisa che gli sparò sul pianerottolo della casa dei genitori, a pochi passi dalla sezione in cui si erano conosciuti». Non sa, invece, Rosa, «come mia nonna sia potuta sopravvivere alla colpa, all’orrore, al processo, alla galera, al dolore, al rimorso, ai rimpianti, allo sguardo dei suoi figli. Ma l’ha fatto, per fortuna». Ed è qui che inizia la sua scoperta di queste assenze: la ricerca di Rosa sulla vita della nonna, grazie a una frase pronunciata distrattamente dal padre, un giorno, in macchina. «In Cile, si legge nel volume, sul “Muro dei nomi” che ricorda i duecentocinquantadue desaparecidos torturati barbaramente a Villa Grimaldi, tempio delle sevizie della dittatura, c’è scritta la frase di Mario Benedetti «L’oblio è pieno di memoria».

È IL PUNTO DI PARTENZA di questa nuova uscita di Alegre all’interno della collana «Quinto Tipo» diretta da Wu Ming1, esempio di produzione di ibridi narrativi che mischiano generi non per un gusto estetico fine a sé stesso, ma perché si tratta di raccontare storie «con ogni mezzo necessario».

Ecco allora che a Rosa Mordenti le memorie raccolte, quelle supposte, quelle che incrociano la sua vita quotidiana. Anche perché per raccontare il nonno servono i suoi articoli sull’Unità (di cui si era inventato la pagina sportiva), alcuni frammenti di un film a cui partecipò. E ancora, nella parte finale, il processo alla nonna, dove alcuni canoni interpretativi dei media si dimostreranno antichi e contemporanei insieme: «Un momento in cui tutto sembrava possibile, fino alla sconfitta del Fronte popolare alle elezioni del ’48 e alla successiva normalizzazione, che inizia sempre dal ritorno nelle case delle donne», come è scritto nella quarta di copertina.